(Cass. Sezione IV Penale, 20 febbraio – 20 marzo 2013, n. 12947)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente –
Dott. MARINELLI Felicetta – Consigliere –
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Patrizia – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso la sentenza n. 952/2011 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del 02/04/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Iacoviello Francesco che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente alla determinazione della pena.
OMISSIS ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in melius quella di primo grado derubricazione del fatto originariamente contestato ex art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) in quello meno grave di cui alla precedente lett. b), lo ha riconosciuto colpevole, confermando la medesima pena già comminata in primo grado (mesi uno giorni 10 di arresto ed Euro 400,00 di ammenda), ritenuta congrua in ragione del tasso alcolemico rilevato, comunque assai prossimo a quello massimo (fatto risalente alla data dell’ OMISSIS con il ricorso si prospettano tre motivi, di cui i primi due strettamente connessi.
Con il primo, si ritiene immotivata la determinazione della pena, siccome il giudicante aveva omesso, nel confermare quella inflitta in primo grado, di specificare la pena base e le diminuzioni operate per la concessione delle attenuanti generiche e per la scelta del rito abbreviato.
Con il secondo, si prospetta violazione del divieto della reformatio in peius, per avere il giudice mantenuto inalterata la misura della pena irrogata dal primo giudice, pur a fronte dell’accoglimento dei motivi di appello sulla diversa e meno grave qualificazione giuridica della fattispecie contestata.
Si lamenta, altresì, sotto altro profilo, il vizio di motivazione per la determinazione della pena finale inflitta.
Con il terzo, si duole del diniego della sostituzione della pena detentiva L. n. 689 del 1981, ex art. 53 che il giudicante di appello aveva rigettato apprezzando che si trattava di motivo nuovo, onde non vi era neppure spazio per un’applicazione ex officio.
Il ricorso è parzialmente fondato con riferimento ai primi due motivi.
Infatti, vale il rilievo che il giudice di appello, qualora il gravame sia proposto dal solo imputato, ai sensi dell’art. 597 c.p.p., comma 3 è vincolato dal divieto di “reformatio in peius”.
In tal caso, infatti, il Giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, nè applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può, in ossequio al tradizionale canone “iura novit curia”, dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purchè non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado.
L’art. 597 c.p.p., comma 4 non solo conferma il divieto di “reformatio in peius”, ma ne rafforza l’efficacia sotto il profilo del contenuto, stabilendo che se viene accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere “corrispondentemente” diminuita.
Con tale previsione, secondo quanto risulta espressamente dalla Relazione al codice di rito, il legislatore ha voluto ovviare ad un indirizzo interpretativo della Corte di legittimità in forza del quale veniva sostanzialmente vanificata l’operatività del divieto, in quanto si affermava che, in presenza della sola impugnazione dell’imputato, il Giudice d’appello poteva confermare la pena complessiva irrogata in primo grado, nonostante l’applicazione di circostanze attenuanti o l’eliminazione di circostanze aggravanti o reati concorrenti.
Tali principi non possono non valere nel caso in esame in cui il giudice di appello, pur derubricando l’ipotesi delittuosa in quella meno grave di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b), ha confermato la pena irrogata in primo grado, senza neanche indicare la pena base dalla quale è partito per la concessione delle attenuanti generiche e la riduzione del rito.
Incensurabile è, invece, il diniego della sostituzione, avvenuta in applicazione del condivisibile principio in forza del quale il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi in assenza di motivi di impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva, e ciò pur quando nel giudizio di appello la parte ne abbia fatto richiesta (Sezione 6, 22 maggio 2009, n. 35912, Rapisarda, rv, 245372).
annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia sul punto alla Corte d’Appello di Cagliari per nuovo esame. Rigetta il ricorso nel resto.