Il novellato articolo 41 bis O.P. consente la sospensione delle normali regole di trattamento soltanto nei confronti dei detenuti e degli internati per i delitti di cui al primo periodo dell’art. 4 bis O.P. nella ipotesi in cui ricorrano elementi tali da far ritenere la sussistenza dei collegamenti con una associazione criminosa.
La parte motiva del decreto in esame fa riferimento alle categorie di prevenuti nei cui confronti il regime detentivo speciale può applicarsi. Tra questi rientrano, oltre a coloro che hanno rivestito un ruolo di vertice all’interno delle organizzazioni criminali e a coloro che hanno fatto parte di gruppi di fuoco organizzati nell’ambito delle stesse organizzazioni, anche coloro che in virtù dei precedenti rapporti con i vertici, ovvero per le proprie conoscenze, o per altre ragioni siano comunque in grado di veicolare all’esterno le disposizioni fatte pervenire dai capi, permanendo il loro obbligo verso il sodalzio criminale di portare a compimento, anche per il tramite dei correi rimasti in libertà, i reati loro commissionati e non ancora eseguiti, risultando irrilevante a tale scopo che sia stata o meno contestata o riconosciuta taluna delle aggravanti previste per i capi o i promotori dell’associazione.
Invero il decreto contiene alcuni elementi di segno contrario che indeboliscono la condizione di pericolo, quali i richiami ai procedimenti per reati in materia di stupefacenti, per i quali risulta a piede libero, e all’ordinanza di custodia cautelare per la quale è ristretto.
La specifica posizione del reclamante va quindi ricondotta alla sola operazione “Fehida”.
Prendendo in considerazione le osservazioni difensive la motivazione del decreto non appare adeguata, non contenendo alcun riferimento ad apprezzabili e concrete circostanze idonee a provare l’attuale pericolo di collegamenti con l’esterno.
La lettura dell’ordinanza di custodia cautelare configura una posizione gregaria e subordinata, poiché dagli elementi probatori raccolti non risulta che egli abbia fatto parte di gruppi di fuoco né che abbia mai ricoperto cariche direttive e di comando o abbia avuto i poteri di decidere in modo autonomo sull’ideazione ed elaborazione dei programmi delittuosi o comunque preso parte a riunioni ed incontri programmatici.
Il decreto ministeriale fonda il giudizio di pericolosità sociale di A.R. unicamente sul ruolo di mero partecipe del gruppo criminale di appartenenza, riportandosi unicamente in motivazione il capo di imputazione. Non emerge dalla motivazione del decreto una posizione di rilievo in relazione all’attività della cosca, non essendo stata particolareggiata a sufficienza la sua figura criminale, se non con riferimento all’episodio di prelevamento e riparazione dell’autovettura dell’amico E.B. danneggiata nell’agguato dal quale era scampato lo stesso E.B.
Certamente trattasi di persona di fiducia che, per questo, era stata ammessa in un luogo riservato dove avevano trovato riparo soggetti che, per sfuggire alla temuta ritorsione della cosca rivale e sottrarsi alle investigazioni delle Forze dell’Ordine, hanno deciso di appartarsi per un periodo di tempo assai consistente.
Il ruolo di A.R. appare pertanto essere secondario e non di spessore all’interno del gruppo criminoso tale che possa dalla detenzione continuare a essere utile all’associazione, fornendo un proprio apporto decisionale da veicolare all’esterno.
Pur assumendosi le condotte criminose suddette come sintomatiche di pericolosità, sarebbe stato necessario che il provvedimento impugnato evidenziasse più specificamente le ragioni dalle quali far discendere l’attualità del pericolo concreto di contatti con esponenti del crimine organizzato e circa il ruolo tuttora rivestito all’interno del gruppo criminale
Alla luce del travisamento dei presupposti che giustificano un provvedimento come quello adottato resta integrato il vizio di eccesso di potere e deve dunque procedersi a declaratoria di inefficacia dell’impugnato decreto ministeriale.
(Tribunale di Sorveglianza di Torino, ordinanza 14 maggio 2008 – Est. Di Domenico, in Il Corriere del Merito, 2008, pag. 945).