L’indicazione della riserva di costituzione di parte civile, contenuta in un atto qualificato come denuncia, non è condizione sufficiente per manifestare la chiara e precisa volontà di perseguire l’autore del fatto denunciato che è uno dei requisiti essenziali di una valida querela.
(Cass. Sezione VI Penale, 2 agosto – 20 settembre 2012, n. 36001)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRANCO Amedeo – Presidente –
Dott. D’ISA Claudio – Consigliere –
Dott. CAVALLO Aldo – Consigliere –
Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere –
Dott. PISTORELLI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di L’Aquila;
nel procedimento nei confronti di:
OMISSIS;
avverso la sentenza del 7/07/2011 della Corte d’appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MURA Antonio, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
udito per l’imputato l’avv., che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
1. Con sentenza del 7 luglio 2011 la Corte d’appello di L’Aquila dichiarava non doversi procedere nei confronti di OMISSIS per il reato di falsità in scrittura privata continuata per il difetto di querela, così riformando la pronunzia di condanna dell’imputato emessa nel primo grado di giudizio.
2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di L’Aquila su richiesta della parte civile, rilevando come erroneamente i giudici dell’appello avrebbero escluso che la denuncia presentata dalla persona offesa integrasse gli estremi della querela necessaria per la procedibilità del reato in contestazione, atteso che la riserva di costituzione di parte civile in essa contenuta avrebbe dovuto essere ritenuta equivalente ad una vera e propria istanza di punizione idonea a qualificare in tal senso l’atto.
A sostegno del ricorso in data 1 agosto 2012 ha altresì depositato memoria il difensore della parte civile.
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Non è in dubbio che, come ricordato dal ricorrente, secondo il consolidato e qui condiviso orientamento di questa Corte ai fini della validità della querela non sia necessario l’uso di formule sacramentali, essendo sufficiente la denuncia dei fatti e la chiara manifestazione della volontà della persona offesa di voler perseguire penalmente i fatti denunciati (da ult. ed ex multis Sez. 4 n. 46994 del 15 novembre 2011, p.m. in proc. Bozzetto, rv 251439).
Nell’affermare l’illustrato principio la citata giurisprudenza ha voluto per un verso sottolineare come la querela sia atto a forma libera e per l’altro ribadire quali siano i contenuti minimi della stessa per come fissati dall’art. 336 c.p.p., il quale impone alla persona offesa che intenda esercitare il proprio diritto di querela l’onere di manifestare la volontà che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato. E’ dunque altrettanto fuor di dubbio che la manifestazione della volontà di portare a conoscenza dell’autorità l’avvenuta consumazione di un fatto di reato non è sufficiente a qualificare l’atto che la contiene come querela se lo stesso non rivela in maniera chiara ed inequivocabile anche l’intento “persecutorio” e cioè l’ulteriore manifestazione della volontà del soggetto legittimato che si proceda nei confronti del suo autore, atteso che questo e non altro costituisce l’effettivo elemento differenziatore tra querela e semplice denuncia.
2. Ciò ribadito, deve osservarsi come nel caso di specie la persona offesa, un primario istituto bancario, abbia presentato un atto formalmente qualificato come esposto-denuncia dal suo autore, con il quale veniva “denunziato” l’odierno imputato per i reati eventualmente ravvisati dall’autorità giudiziaria nei fatti in esso descritti e contenente l’espressa riserva del denunziante di costituirsi parte civile nei suoi confronti nell’instaurando procedimento.
Il provvedimento impugnato ha escluso che siffatta manifestazione di volontà possa contenere una implicita istanza di punizione del soggetto cui l’esponente aveva attribuito l’autoria dei fatti denunziati, mentre di opposto avviso è il ricorrente, il quale evoca a sostegno della sua doglianza quanto affermato da una risalente pronunzia di questa Corte, per cui la riserva di costituzione di parte civile, manifestata in querela, equivale ad istanza di punizione poichè dimostra chiaramente la volontà del querelante che si proceda penalmente nei confronti del querelato (Sez. 3 n. 3155 del 11 gennaio 1984, Accogli, rv 163559).
2.1 La tesi del ricorrente non può essere condivisa.
Innanzi tutto va osservato che nella fattispecie decisa dalla citata pronunzia l’atto di impulso del procedimento era stato qualificato dalla stessa persona offesa come “querela” e che pertanto oggetto di discussione era se in un tale contesto la riserva di costituzione poteva considerarsi valido equipollente della manifestazione della volontà di punizione. In altri termini, nel caso deciso dall’evocata sentenza la valutazione del significato della riserva è stato compiuto anche in ragione della sua convergenza con l’espressa qualificazione che il suo autore aveva attribuito all’atto nel quale era stata inserita e in cui, all’evidenza, mancava invece un’altrettanto espressa istanza di punizione.
Tale fattispecie non risulta dunque sovrapponibile a quella oggetto del ricorso, in cui la persona offesa non solo ha omesso qualsiasi espressa istanza di punizione, ma altresì non ha mai evocato l’istituto della querela ed ha anzi ripetutamente manifestato formalmente la volontà di presentare una mera denunzia. Evenienza, per come illustrato in precedenza, che di per sè non sarebbe decisiva per escludere valore di querela all’atto, ma che per l’appunto assume invece rilevanza nell’interpretazione della volontà della persona offesa laddove quest’ultima non abbia altrimenti manifestato, anche solo implicitamente, il suo intento persecutorio, giacchè, come accennato, questo non può essere dedotto dalla sola circostanza dell’avvenuta denunzia del fatto, che altrimenti sarebbe annullata ogni distinzione tra denuncia e querela (Sez. 6 n. 11386 del 22 gennaio 2003, Crimi, rv 223950).
2.2 E nel descritto contesto non può ritenersi manifestazione della volontà di procedere, nemmeno implicita, la mera riserva di costituirsi parte civile, di per sè compatibile anche con l’intenzione di presentare una mera denuncia, soprattutto in un caso in cui la persona offesa si sia limitata ad esporre un fatto senza prospettarne alcuna qualificazione giuridica, rimettendo all’autorità giudiziaria ogni valutazione in proposito.
In altri termini, pur non gravando alcun onere sul querelante di procedere alla suddetta qualificazione (e comunque rimanendo esclusa la natura vincolante di quella eventualmente svolta), non è dubbio che qualora egli abbia invece provveduto a proporre l’inquadramento del fatto denunziato in una specifica fattispecie di reato procedibile a querela potrebbe eventualmente rinvenirsi nel contestuale annuncio della volontà di costituirsi parte civile nell’instaurando procedimento ulteriore e convergente indizio di un’implicita manifestazione dell’intento persecutorio.
2.3 In definitiva la riserva di costituzione non è in grado di per sè di rappresentare quella chiara e precisa manifestazione della volontà di perseguire l’autore del fatto denunciato che, come si è detto, costituisce uno dei requisiti essenziali di una valida querela. A prescindere dal fatto che a tale dichiarazione l’ordinamento processuale non riconnette alcun effetto tipico, è appena il caso di evidenziare, infatti, come la stessa non sia impegnativa per chi la pone in essere, il quale si limita a comunicare una intenzione solo eventuale e futura di esercitare l’azione civile nel procedimento penale qualora lo stesso effettivamente si instauri. Si tratta dunque di una manifestazione di volontà che non esprime, nemmeno implicitamente, l’intenzione attuale di rimuovere l’ostacolo che impedisce la procedibilità del reato da parte del soggetto legittimato a farlo.
3. Il ricorrente, a sostegno della sua tesi, ha peraltro evocato anche un’altra pronunzia di questa Corte, secondo cui la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la stessa si costituisce parte civile, nonchè nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (Sez. 5 n. 43478 del 19 ottobre 2001, Cosenza, rv 220259; principio ribadito di recente da Sez. 2 n. 19077 del 3 maggio 2011, Magli, rv 250318). L’orientamento In questione si è formato in realtà con riguardo alla peculiare ipotesi del reato perseguibile originariamente d’ufficio divenuto nel corso del processo perseguibile a querela, non proposta dall’interessato già costituitosi parte civile, il quale aveva però provveduto a rinnovare la costituzione anche dopo la modifica normativa. Ma anche prescindendo dalla particolarità della fattispecie, non può che evidenziarsi l’inconferenza nel caso di specie del principio sopra ricordato, atteso che per l’appunto esso si riferisce all’atto di costituzione di parte civile, il quale non può certo essere assimilato alla riserva formulata nel caso di specie dalla persona offesa. Infatti attraverso l’esercizio dell’azione civile nel processo penale quest’ultima manifesta un effettivo ed attuale interesse al perseguimento dell’autore del reato, per di più quando già si è cristallizzata la qualificazione giuridica del fatto e quindi in una fase in cui la costituenda parte civile agisce nella consapevolezza della necessità della manifestazione del proprio intento persecutorio.
rigetta il ricorso del Procuratore Generale.