IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio – Presidente –
Dott. IANNELLI Enzo – Consigliere –
Dott. MACCHIA Alberto – rel. Consigliere –
Dott. RAGO Geppino – Consigliere –
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) OMISSIS;
2) OMISSIS;
avverso l’ordinanza n. 1136/2011 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del 06/12/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;
sentite le conclusioni del P.G. Dott. CESQUI Elisabetta che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori avv. che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
Con ordinanza del 6 dicembre 2011, il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di riesame avanzata da OMISSIS e OMISSIS avverso il decreto di sequestro preventivo di somme varie di denaro per un importo complessivo di Euro 570.821,47 nell’ambito di un procedimento penale a carico dei predetti per associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di truffe in danno dello Stato e di enti previdenziali, oltre a numerosi reati fine, anche tributari.
Propongono ricorso per cassazione i difensori i quali, rinnovando censure già devolute in sede di riesame e disattese nel provvedimento impugnato, eccepiscono la incompetenza per territorio del Tribunale di Roma, reputando incongrua ed erronea la risposta offerta sul punto dai giudici a quibus, essendosi la motivazione del relativo decisum radicata non sulla disamina della fattispecie associativa, ma sul luogo di consumazione dei reati fine. Si censura, poi, la circostanza che il Tribunale avrebbe sottovalutato la portata della documentazione offerta dalla difesa, specie in relazione ai luoghi in cui il T. svolgeva la propria attività, rientrante nel territorio del Tribunale di Velletri. In particolare, la sede della associazione doveva individuarsi nell’ufficio di Via OMISSIS, ove avevano sede le varie società “virtuali” ed aveva sede il server dell’organizzazione. Il tutto, d’altra parte, in linea con i più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità, espressasi in fattispecie analoghe.
Si contesta poi l’assunto secondo il quale si sarebbe formato un giudicato cautelare in punto di gravità indiziaria, in quanto gli indagati avevano rinunciato alla celebrazione del riesame: sicchè, nessun giudicato endoprocessuale può dirsi intervenuto al riguardo.
Si prospetta, inoltre, carenza di motivazione tanto del provvedimento di sequestro che della ordinanza del riesame, avendo quest’ultimo provvedimento irritualmente dichiarato inammissibili le doglianze prospettate in ordine alla assenza di fumus e di estraneità della OMISSIS alla fattispecie associativa. Viene lamentata violazione di legge in ordine al provvedimento di sequestro, in quanto oggetto di cautela dovevano essere innanzi tutto le imprese che avevano utilizzato la cosiddetta compensazione orizzontale: sicchè, solo dopo aver accertato l’impossibilità di reperimento del relativo profitto si sarebbe potuto procedere al sequestro per equivalente.
Ciò, si afferma, in particolare nelle ipotesi in cui il reato sia addebitato a più persone. Si contesta anche l’assunto secondo il quale non vi sarebbe interesse della OMISSIS a dolersi del sequestro delle somme versate sui depositi della OMISSIS s.r.l.
trattandosi di beni appartenenti a terzi, e si deduce che il Tribunale avrebbe comunque dovuto fornire spiegazioni circa il sequestro per equivalente di tali somme, intestate alla società, trattandosi di soggetto rimasto estraneo alla indagine e del quale non si motiva una interposizione fittizia. Si lamenta, infine, che il Tribunale non abbia offerto alcuna motivazione in ordine alla deduzione difensiva relativa alla insussistenza del requisito della sproporzione tra la capacità reddituale della S. e le somme sottoposte a sequestro per equivalente.
Il ricorso non è fondato. Questa Corte ha infatti avuto modo di sottolineare come, al fine di determinare la competenza per territorio di un reato associativo, occorra fare riferimento al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio, venendo ad assumere uno specifico risalto non tanto il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto – dovendo essere l’associazione una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività – il luogo in cui si è effettivamente realizzata e manifestata l’operatività della struttura (v., al riguardo e fra le altre, Cass., Sez. 5, n. 4104 dell’8 ottobre 2009; Cass., Sez. 1, n. 17353 del 9 aprile 2009). E’ dunque del tutto coerente la tesi dell’ordinanza che afferma la competenza del Tribunale di Roma, essendosi l’intera gamma delle attività fraudolente sviluppate e realizzate in Roma, attraverso la compensazione di inesistenti crediti IVA o le frodi in danno degli enti, in tal modo presupponendo, quindi, che proprio nella medesima città si sia concentrata la effettiva operatività del sodalizio e nella stessa si sviluppi – e trovi coagulo tra i sodali – il momento programmatico e direzionale, radicando pertanto in quello stesso luogo la sede strategica della associazione. Per altro verso, se, come assume il giudice del riesame, non può intravedersi connessione qualificata tra associazione e reati fine sul presupposto della continuazione, a norma dell’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b, appare difficilmente revocabile in dubbio che tra le diverse regiudicande (associazione e reati scopo della stessa) sussista vincolo di connessione teleologica, a norma della lett. c), steso art.. Con la conseguenza che, anche ove si dovesse ritenere ignoto il luogo di operatività della associazione, la competenza dovrebbe essere individuata dai reati satellite, meno gravi, tutti commessi in Roma (Cass., Sez. un., n. 40537 del 2009). Ma v’è di più. Pur essendo infatti pacifica la proponibilità della questione di competenza anche in sede di riesame, va rilevato che la competenza per territorio presenta dei connotati particolari – in punto di deducibilità e rilevabilità – che ne differenziano il regime rispetto alla competenza per materia – specie se per ipocapacità – ed a quella funzionale, giacchè la stessa è rilevata o eccepita entro i rigorosi termini di cui all’art. 21, comma 2, del codice di rito. Ciò sta dunque a significare che, come i presupposti cautelari una volta accertati o non contestati, sviluppano un effetto preclusivo rispetto a quel tema, nel senso che, ferma restando la relativa base fattuale, la decisione sul punto diviene intangibile, allo stesso modo, ove nell’incidente cautelare la competenza territoriale del giudice sia stata accertata (o non sia stata comunque contestata) con pronuncia irrevocabile – sia pure allo stato degli atti – il relativo “tema” diviene precluso nei successivi incidenti cautelari, anche se di diverso “genere”. In altri termini, se nel procedimento incidentale de libertate le parti si pongano, rispetto alla quaestio della competenza territoriale, in una posizione di nolo contendere, la questione stessa deve ritenersi non più proponibile – sempre, ovviamente, che sia rimasto inalterato lo stato degli atti – tanto nei successivi procedimenti incidentali sulla libertà personale che in quelli relativi alle misure cautelari reali, identico essendo il genus procedimentale e la logica che sottostà al cosiddetto “giudicato cautelare,” valido per le cautele tanto personali che reali.
Ebbene, emerge dal provvedimento impugnato che la prima volta che risulta formulata la questione concernente la competenza per territorio è stata la presente vicenda incidentale, quando nessuna eccezione del genere era stata formulata in occasione della applicazione dei provvedimenti cautelari personali a carico degli odierni ricorrenti per i medesimi fatti, già adottati – si legge nella ordinanza – “undici mesi or sono dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma, senza che alcuno lo ritenesse giudice territorialmente incompetente”. Questione, dunque, ormai processualmente preclusa, al pari del tema della gravità indiziaria e, conseguentemente, del fumus in ordine alla cautela reale.
Del pari infondata si rivela la doglianza relativa alla mancata previa “escussione” delle imprese beneficiarie della attività fraudolenta di compensazione. Questa Corte, infatti, non ha mancato di sottolineare che il principio solidaristico della cosiddetta responsabilità per l’intero, in forza del quale è consentito il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente anche per l’intero nei confronti di uno solo dei soggetti coinvolti – tanto che si tratti di persona fisica che giuridica – allorquando non sia possibile, al momento della adozione della misura, accertare l’esatto ammontare del prezzo o del profitto riferibile al singolo concorrente, anche in ragione dei non definiti rapporti economici esistenti tra i concorrenti o della natura della fattispecie concreta, trova il proprio limite nella circostanza che il vincolo cautelare di indisponibilità non deve eccedere nel complesso il valore del profitto e non deve determinare ingiustificate duplicazioni delle attività assoggettate alla cautela, dal momento che, unico essendo il reato, anche se a struttura plurisoggettiva a parte auctoris, non può che derivarne la unicità del profitto, a prescindere dagli accordi interni fra i sodali. D’altra parte, proprio perchè il sequestro è funzionale alla confisca, il vincolo non può che parametrarsi al valore dei beni da assoggettare a provvedimento ablatorio, restando altrimenti aggravata senza ragione la posizione dell’assoggettato a cautela rispetto alla funzione che la misura è destinata a svolgere (v. fra le altre, Cass., Sez. 4, n. 47525 del 7 dicembre 29011). Considerato, pertanto, che nella specie, secondo quanto puntualizza l’ordinanza impugnata, l’importo stimato, addirittura prevalentemente come “prezzo” del reato, piuttosto che come profitto, risulta essere pari a circa 35 milioni di Euro – riferibile direttamente alla attività ascritta ai due imputati e sviluppatasi nel corso di circa una decina di anni – il sequestro di circa 570.000 Euro operato a carico dei ricorrenti risulta essere di gran lunga inferiore all’importo confiscabile, rendendo dunque del tutto legittima la misura adottata.
Quanto, infine, alle censure relative al sequestro relativo alle disponibilità della società OMISSIS s.r.l., il Tribunale – al di là dei prospettati accertamenti – ha fondatamente dato atto della circostanza che si tratti di uno “schermo” societario del tutto apparente ed estero vestito per ragioni di comodo, utilizzata per camuffare la disponibilità di beni in realtà appartenenti ai coniugi OMISSIS e OMISSIS, avuto riguardo ai circostanziati e pertinenti rilievi in punto di fatto svolti in proposito ai giudici a quibus. Le restanti doglianze sono inammissibili, in quanto evocano profili di merito del tutto eccentrici rispetto all’odierno sindacato, per di più circoscritto al solo vizio di violazione di legge.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.