Completezza e certezza della pena, nell’esame della corte di cassazione in caso di annullamento parziale di una sentenza di condanna.
(Cass. Sez. Unite Penali, sentenza 29/10/2020 – 27/01/2021, n. 3423)
In caso di annullamento parziale di una sentenza di condanna in relazione ad uno o più capi per i quali sia stata ravvisata la continuazione con quello, o con quelli, che, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen., hanno acquistato autorità di cosa giudicata, la pena inflitta in relazione al capo, o ai capi, divenuti irrevocabili può essere posta in esecuzione solo a condizione che in esso sia stato irrevocabilmente individuato il reato più grave, anche in relazione alle circostanze, e la pena stessa presenti i caratteri della completezza, essendo insuscettibile di modifiche nel giudizio di rinvio, e della certezza, in quanto individuabile sulla base delle sentenze rese nel giudizio di cognizione e non attraverso ragionamenti ipotetici.
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[OMISSIS]1. Con ordinanza del 16/11/2019, la Corte di appello di (OMISSIS), in parziale accoglimento della richiesta di (OMISSIS), detenuto in esecuzione dell’ordine di carcerazione n. (OMISSIS) emesso in data 19/09/2019, ha dichiarato l’esecutività della sentenza nei limiti della pena di anni quattro, mesi cinque e giorni dieci di reclusione, trasmettendo gli atti alla Procura generale per l’emissione di nuovo ordine di carcerazione.
L’ordinanza della Corte distrettuale dà atto che: in riforma della sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di (OMISSIS) del 15/07/2016, emessa all’esito del giudizio abbreviato, la Corte di appello di (OMISSIS), con sentenza del 16/04/2018, aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni sette di reclusione per i reati di cui agli artt. 74 (capo 13) e 73 (capo 8), d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dell’associazione armata contestata al capo 13; la Procura Generale presso la Corte territoriale aveva emesso, ai sensi dell’art. 656, comma 1, cod. proc. pen., un ordine di esecuzione per la pena di sei anni e otto mesi di reclusione, sulla base dell’erroneo presupposto che la Corte di cassazione avesse dichiarato l’inammissibilità del ricorso; al contrario, con la sentenza n. 41998 del 03/07/2019, la Corte di cassazione aveva annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce in relazione al reato sub 13, esclusivamente con riguardo alla sussistenza della circostanza aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, e in relazione al capo 8, limitatamente alla qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 cit. Il giudice dell’esecuzione osserva che il principio della formazione progressiva del giudicato può trovare applicazione con riferimento alla sola pena minima inderogabile prevista per i reati oggetto dei capi della sentenza non sottoposti ad annullamento.
Sulla base di tale premessa, rileva che per il reato di cui al capo 13, per il quale l’accertamento di responsabilità è passato in giudicato e l’annullamento con rinvio attiene alla valutazione della sussistenza della circostanza aggravante dell’associazione armata, con l’assorbimento dei motivi concernenti il giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti generiche, la pena minima certa è quella di anni quattro, mesi cinque e giorni dieci di reclusione (pena base determinata in anni dieci di reclusione; operata sulla medesima la massima diminuzione per le circostanze attenuanti generiche — già applicate dalla sentenza di primo grado e ritenute da tale pronuncia equivalenti alla circostanza aggravante dell’associazione armata – e tenuto conto della riduzione di un terzo per il rito abbreviato).
L’ordinanza rileva, quindi, conclusivamente che l’ordine di esecuzione può essere emesso soltanto entro questi limiti, perché in sede di giudizio di rinvio l’imputato non potrà essere condannato a una pena inferiore a quella indicata. Di qui, il parziale accoglimento dell’istanza presentata nell’interesse di (OMISSIS), con la declaratoria di esecutività della sentenza del 16/04/2018 della Corte di appello di (OMISSIS), nei limiti della pena di anni 4 mesi 5 giorni 10 di reclusione e la trasmissione degli atti alla Procura Generale presso la medesima Corte di appello di (OMISSIS) per l’emissione di un nuovo ordine di esecuzione nei termini indicati, tenuto conto del presofferto.
2. Avverso l’indicata ordinanza della Corte di appello di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), per il tramite del difensore Avvocato Ladislao Massari, denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – violazione dell’art. 624 cod. proc. pen. e vizio di motivazione. Nel caso di specie, l’annullamento con rinvio relativamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 (oltre che in ordine al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990) incide in modo determinante sulla pena, a fronte delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche e del conseguente relativo giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti.
La mancata individuazione di una pena certa ha riflessi in sede esecutiva ai fini della individuazione della violazione più grave nell’ambito della continuazione, nonché in ambito penitenziario con riguardo alla possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione e alla fruizione di benefici penitenziari, non potendosi stabilire quale dovrebbe essere la sorte dell’eventuale accesso a una misura alternativa qualora dovesse intervenire un “supplemento” di pena detentiva per effetto del giudizio di rinvio. Infine, in assenza della definizione del giudizio sul trattamento sanzionatorio, sarebbe dubbia la possibilità di richiedere il giudizio di revisione, che presuppone il passaggio in giudicato dell’intera sentenza. Pertanto, ad avviso del ricorrente, non può porsi in esecuzione alcuna “frazione” di pena detentiva, in mancanza dell’esito irrevocabile del giudizio di rinvio, mentre la delicatezza e la complessità delle questioni prospettate potrebbero richiedere l’intervento delle Sezioni Unite.
3. Investita della cognizione del ricorso, la Prima Sezione penale, con ordinanza n. 21824 del 10 luglio 2020, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, ravvisando – all’esito di un ampio excursus sulle pronunce delle Sezioni Unite relative al “giudicato progressivo” e sulle decisioni delle Sezioni semplici circa i temi in esame – un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alle questioni relative, per un verso, all’esistenza e alla portata di limiti all’esecuzione della pena individuata come soglia minima, una volta formatasi la cosa giudicata sull’affermazione di responsabilità con contestuale annullamento della statuizione sul trattamento sanzionatorio, e, per altro verso, alla competenza funzionale in ordine all’indicazione della pena da eseguire (giudice dell’esecuzione – anche, eventualmente, in ragione di computi ipotetici – o Corte di cassazione con la pronuncia di annullamento con rinvio).
4. In data 4 agosto 2020, il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la sua trattazione l’odierna udienza camerale ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.
5. Nella requisitoria depositata il 26 agosto 2020, il Sostituto Procuratore generale ha concluso per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e dell’ordine di esecuzione n. 340/2019 emesso dalla Procura Generale presso la Corte di appello di (OMISSIS). Ha osservato che qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice del rinvio la sola determinazione della pena, la formazione del giudicato progressivo riguarda esclusivamente l’accertamento del reato e la responsabilità dell’imputato.
La pena può essere messa in esecuzione non sulla base di calcoli ipotetici rimessi agli organi dell’esecuzione, ma in virtù di un quadro stabilizzato in ordine alla responsabilità intesa in senso ampio, comprendente non solo l’an della colpevolezza, ma anche gli aspetti circostanziali del fatto criminoso, chiaramente incidenti sul quantum sanzionatorio. Un’esecuzione parziale, a maggior ragione se in presenza di un quadro sanzionatorio indefinito, necessiterebbe di ulteriori integrazioni in fase esecutiva e, comunque, rischierebbe di pregiudicare l’utilizzo di misure detentive in forme meno afflittive, con chiaro sfavore per la situazione soggettiva del condannato e per il suo status libertatis costituzionalmente garantito, rispetto al quale il favor esecutionis deve ritenersi sicuramente recessivo. 6. In data 7 ottobre 2020, il difensore del ricorrente ha depositato una memoria con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso, ribadendo gli argomenti già esposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto sottoposta all’esame delle Sezioni Unite è stata formulata nei seguenti termini:
«se e a quali condizioni possa darsi esecuzione alla sentenza di condanna in ordine alla quale la Corte di Cassazione, pronunciando l’annullamento con rinvio limitatamente a profili che attengono al trattamento sanzionatorio, abbia determinato, ai sensi dell’art. 624 cod. proc.pen., la formazione della cosa giudicata sulla affermazione di responsabilità e sulle parti che hanno connessione essenziale con la parte annullata».
2. Per un migliore inquadramento delle questioni rimesse all’esame delle Sezioni unite, è necessario collocarle all’interno delle coordinate che una risalente e consolidata elaborazione giurisprudenziale ha individuato per la definizione dei presupposti e della portata del giudicato progressivo (o giudicato parziale). Premessa, infatti, della tesi della immediata esecutività della sentenza, pur se fatta oggetto di annullamento parziale in punto di pena, è la piena compatibilità con il sistema processuale del c.d. giudicato progressivo, il cui fondamento normativo risiede nella previsione dell’art. 624 cod. proc. pen – che riproduce l’omologo art. 545 del codice di rito del 1930 – secondo cui «se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata». Occorre allora, innanzitutto, chiarire, sulla scorta dell’indicata elaborazione giurisprudenziale, la portata dell’espressione “parti” della sentenza contenuta nell’art. 624 cod. proc. pen. e se con la stessa il legislatore abbia inteso riferirsi esclusivamente ai capi ovvero anche ai punti della sentenza.
2.1. Al riguardo, è opportuno richiamare la distinzione tra capo e punto della sentenza così come è stata messa a fuoco da Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239 (e poi valorizzata anche da Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, dep. 2007, Michaeler, Rv. 235700). La nozione di capo della sentenza «è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, sicché per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato».
Il concetto di punto della decisione, invece, ha una portata più ristretta, riguardando «tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione».
Pertanto, «se ciascun capo è concretato da ogni singolo reato oggetto di imputazione, i punti della decisione, ai quali fa espresso riferimento l’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., coincidono con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato e dunque, in primo luogo, all’accertamento della responsabilità ed alla determinazione della pena, che rappresentano, appunto, due distinti punti della sentenza».
Di conseguenza, «ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l’accertamento del fatto, l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e – nel caso di condanna – l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio». Sez. U, Tuzzolino ha poi chiarito che il giudicato progressivo – così come delineato dal consolidato indirizzo delle Sezioni unite subito di seguito esaminato – va tenuto distinto dalla preclusione correlata al mero effetto devolutivo delle impugnazioni e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni stesse.
In caso di condanna, dunque, la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena; pertanto, l’eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce.
La sentenza Tuzzolino sottolinea che tale conclusione non confligge con gli ulteriori approdi delle Sezioni unite secondo cui,in caso di annullamento parziale ex art. 624 cod. proc. pen., il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato rende definitive tali parti della sentenza, con la conseguenza che il giudice di rinvio, investito della decisione sulla determinazione della pena, non può applicare le cause estintive del reato sopravvenute alla pronuncia di annullamento. Invero, il principio di diritto “centrale” nella definizione degli effetti del giudicato progressivo rinviene la propria ratio nella specialità della forza precettiva dell’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., che riconosce l’autorità del giudicato sia ai capi che ai punti della sentenza, ma non rappresenta l’espressione di un principio applicabile al di fuori della specifica situazione dell’annullamento parziale, dato che la disposizione detta una regolamentazione particolare, attinente unicamente ai limiti obiettivi del giudizio di rinvio e, dunque, è legata indissolubilmente alle peculiari connotazioni delle sentenze della Corte di cassazione e alla intrinseca irrevocabilità connaturata alle statuizioni dell’organo posto al vertice del sistema delle impugnazioni, onde è da escludere che la disposizione stessa possa essere utilmente richiamata per sovvertire i principi generali desumibili dalle linee fondanti dell’ordinamento processuale relativo alle impugnazioni penali.
Si deve, dunque, a Sez. Unite, Tuzzolino la puntuale individuazione del discrimen tra giudicato progressivo o parziale e preclusione, correlata al mero effetto devolutivo delle impugnazioni e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni stesse. In tale contesto, il tenore letterale dell’art. 624 cod. proc. pen. e la sua interpretazione logico-sistematica rendono evidente che la nozione di “parti” della sentenza non coincide con quella di capo e che la formazione del giudicato parziale ha ad oggetto anche i punti afferenti ad un capo. E’ questo uno dei profili salienti dell’elaborazione delle Sezioni unite in tema di giudicato progressivo, elaborazione che è possibile ripercorrere, a grandi linee e per i profili qui di interesse.
2.2. Sez. U, n. 373 del 23/11/1990, Agnese, Rv. 186164 – 5 ha messo in luce il carattere dinamico del giudicato progressivo, sensibile allo sviluppo del rapporto processuale, posto che un giudizio si esaurisce con la stessa simmetrica progressività con la quale si riduce il suo oggetto, potendo ciò accadere sia quando nel processo confluiscono più azioni penali, suscettibili di autonoma decisione, sia quando il procedimento riguarda un solo reato attribuito a un solo soggetto.
Il giudicato progressivo può, quindi, riguardare sia le ipotesi in cui la pronuncia di annullamento ha ad oggetto uno o più capi d’imputazione, sia l’ipotesi in cui la stessa decisione interviene in relazione ad uno o più punti concernenti una singola accusa, perché sia nell’uno che nell’altro caso l’irrevocabilità della decisione rappresenta l’effetto conseguente all’esaurimento del giudizio.
Centrale, nella ricostruzione sistematica offerta dalla sentenza Agnese, è il riferimento alla disciplina ad hoc prevista per l’annullamento parziale nel giudizio di legittimità, disciplina dettata dall’art. 545 del previgente codice di rito e dall’art. 624 del codice repubblicano, con una formulazione che, in entrambi i casi, faceva e fa leva sull’attribuzione dell’autorità di cosa giudicata alle parti della sentenza che non hanno connessione essenziale con quelle annullate.
Proprio il comune riferimento alla nozione di “parte” della sentenza offre alla sentenza Agnese l’opportunità di rimarcare che, se con tale termine il legislatore avesse inteso riferirsi solo ai “capi autonomi” della sentenza, la norma si rivelerebbe del tutto superflua, non essendo certo contestabile l’autonomia delle azioni penali confluenti nel processo cumulativo.
Di qui il rilievo che «una statuizione definitiva da parte della Corte di cassazione può avere ad oggetto disposizioni riguardanti uno stesso capo d’imputazione e perciò anche una siffatta decisione, al pari di quella che conclude il giudizio in relazione ad una o più accuse, è partecipe, ed in ugual misura, degli effetti riconducibili al giudicato».
Conseguenza della definitività della sentenza di annullamento della Corte di cassazione, limitata nel suo contenuto dall’oggetto dell’annullamento stesso, è la disciplina codicistica (art. 546 cod. proc. pen. 1930; art. 628 del codice di rito vigente) che, sottolinea Sez. U, Agnese, consente l’impugnabilità della sentenza del giudice di rinvio soltanto in relazione ai punti non decisi dalla Cassazione, sicché i limiti oggettivi del giudizio di rinvio «sono diretta ed ineludibile conseguenza dell’irrevocabilità della pronuncia della Corte di cassazione in relazione a tutte le parti diverse da quelle annullate ed a queste non necessariamente connesse».
Dunque, la convergente formulazione legislativa di cui all’art. 545 del previgente codice di rito e dell’art. 624 cod. proc. pen. e il complessivo contesto normativo di riferimento conducono la sentenza Agnese, per un verso, a ribadire che l’autorità di cosa giudicata va riconosciuta anche ai punti non oggetto di annullamento e, per altro verso, a sottolineare conclusivamente che «non può essere dichiarato prescritto un reato quando la causa estintiva sia sopravvenuta […] alla sentenza di annullamento parziale pronunciata dalla Corte di cassazione, quando questa ha ad oggetto statuizioni diverse ed autonome rispetto al riconoscimento dell’esistenza del fatto-reato e della responsabilità dell’accusato». Secondo Sez. U, Agnese non è invece conseguenza del giudicato parziale l’eseguibilità della sentenza, che non deve essere confusa con l’autorità di cosa giudicata che viene attribuita a una o più delle statuizioni, perché l’irrevocabilità della sentenza in relazione allo sviluppo del rapporto processuale costituisce un profilo ben distinto rispetto alla possibilità di attuazione delle decisioni definitive in essa contenute. La definitività va, piuttosto, posta in relazione alla «formazione di un vero e proprio titolo esecutivo, e quindi alla materiale e giuridica possibilità dell’esecuzione della sentenza nei confronti di un determinato soggetto», laddove l’irrevocabilità è «conseguente all’esaurimento del giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato».
2.3. Le successive decisioni delle Sezioni unite confermano l’impostazione di fondo della sentenza Agnese. Sempre nella prospettiva di escludere la rilevabilità della causa estintiva del reato della prescrizione in caso di annullamento parziale da parte della Corte di cassazione che abbia ad oggetto statuizioni diverse dall’accertamento del fatto- reato e della responsabilità dell’imputato, essendo, per queste parti, la pronuncia di condanna divenuta irrevocabile, Sez. U, n. 6019 del 11/05/1993, Ligresti, Rv. 193418 – 21 ha chiarito che con l’espressione “parti della sentenza” di cui all’art.545 cod. proc. pen. 1930 e all’art. 624 cod. proc. pen. il legislatore ha fatto riferimento a qualsiasi statuizione avente un’autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo di imputazione, ma anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame; anche in relazione a questi ultimi la decisione adottata, benché non ancora eseguibile, acquista autorità di cosa giudicata, quale che sia l’ampiezza del relativo contenuto. In sintonia con la sentenza Agnese, la sentenza Ligresti osserva, inoltre, che l’irrevocabilità di “parti” individuabili nell’ambito del capo – e dunque, di alcuni suoi punti – non consente l’esecutività della decisione.
2.4. Proprio ai rapporti tra irrevocabilità ed esecutività in presenza di un giudicato parziale ha dedicato significativi rilievi Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, Cellerini, Rv. 196886 – 94. La sentenza prende le mosse dalla dicotomia tra “definitività” ed “eseguibilità” che la formazione del giudicato progressivo implica, osservando che l’autorità di cosa giudicata non va scambiata con la esecutorietà di una decisione, perché l’esecutorietà non è sufficiente ad attribuire a un provvedimento l’autorità di cui si tratta e, talvolta, neppure il carattere della irrevocabilità, mentre vi possono essere decisioni aventi autorità di cosa giudicata senza essere in tutto o in parte eseguibili. A Sez. U, Cellerini, inoltre, si deve una puntuale definizione del rapporto di connessione essenziale, che, legando la parte non annullata a quella annullata, impedisce che la prima assuma autorità di cosa giudicata. Tale rapporto va inteso come necessaria interdipendenza logico-giuridica tra le parti suddette nel senso che l’annullamento di una di esse provochi inevitabilmente il riesame di altra parte della sentenza seppur non annullata, sollecitando su entrambe i poteri di giudizio e, quindi, la decisione del giudice.
2.5. Nella medesima prospettiva si pone Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, Vitale, Rv. 206170, secondo cui nel caso in cui la sentenza, pur documentalmente unica, ricomprenda una pluralità di capi e di imputazioni a carico dello stesso imputato, dall’autonomia di ciascuno di essi deriva il passaggio in giudicato di quei capi della sentenza non investiti dall’annullamento con rinvio, sicché la competente autorità giudiziaria può porre legittimamente in esecuzione il titolo penale per la parte divenuta irrevocabile, nonostante il processo, in conseguenza dell’annullamento parziale, debba proseguire, in sede di rinvio, per la nuova decisione sui capi annullati. Significativa, ai fini dell’esame delle questioni qui in rilievo, è la correlazione (già messa in luce da Sez. U, Ligresti) tra l’esecutività della sentenza oggetto di annullamento parziale nella parte che ha acquistato autorità di cosa giudicata e il riferimento (esclusivo) ai capi – e non anche ai punti – non oggetto di annullamento. La sentenza Vitale ritiene, dunque, legittima l’esecuzione delle «statuizioni della sentenza non ulteriormente modificabili e relative alla totalità dei capi di imputazione», fatta eccezione per il capo concernente l’unico reato oggetto di annullamento, avente, nell’economia della pena inflitta, incidenza marginale.
2.6. Nel solco tracciato da Sez. U, Agnese si pone, infine, Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640, che ribadisce il principio di diritto secondo cui, qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla determinazione della pena, il giudicato progressivo formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive sopravvenute all’annullamento parziale (con le eccezioni della morte dell’imputato e dell’abolitio criminis). Nel rispondere ai rilievi critici mossi alla categoria del giudicato progressivo, la sentenza Attinà osserva che il principio di legalità, limite invalicabile del potere del giudice, individua con la pena comminata la criminosità del fatto, anche se deve distinguersi nettamente reato e sua punibilità in concreto (Corte cost., sent. n. 369 del 1988).
Non è, infatti, extra ordinem la concezione di una definitività decisoria che, attenendo all’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto criminoso e ponendo fine all’iter processuale su tale parte, crei una «barriera invalicabile all’applicazione di cause estintive del reato, sopravvenute alla sentenza di annullamento ad opera della Cassazione o eventualmente già esistenti e non prese in considerazione, benché non si sia ancora connotata dall’esaustività la regiudicata per il permanere del residuo potere cognitivo del giudice di rinvio in ordine alla determinazione della pena a lui devoluta».
Del resto, sottolinea ancora Sez. U, Attinà, la posizione di chi è stato conclusivamente giudicato e di chi ancora attende la definizione del giudizio di rinvio per la determinazione della pena è identica con riguardo al giudicato formatosi sull’accertamento del reato e sulla dichiarazione della responsabilità, non essendo la contestualità fra dichiarazione di responsabilità e irrogazione della pena espressione di «un precetto costituzionale». La sentenza Attinà contiene altre due rilevanti affermazioni, lì dove osserva che con l’espressione “giudicato” la legge non intende riferirsi all’intrinseca idoneità della sentenza ad essere posta in esecuzione e mette in luce, inoltre, che l’irrevocabilità può non coincidere con la definitività del decisum,quando si sia formato un giudicato (parziale) sulla responsabilità dell’imputato e non è ancora intervenuta la determinazione della pena e, quindi, la sentenza non è ancora utilizzabile come titolo esecutivo (arg. ex artt. 624, 648, 650 cod. proc. pen.). E’, dunque, la mancata irrevocabilità della determinazione della pena a impedire al giudicato parziale di dare corpo a un titolo esecutivo.
2.7. L’elaborazione giurisprudenziale in tema di giudicato progressivo sin qui illustrata evidenzia due profili rilevanti ai fini dell’esame della questione rimessa alla cognizione delle Sezioni unite. La nozione di “parte” della sentenza che, se non legata da una connessione essenziale con la parte annullata, consente l’attribuzione dell’autorità di cosa giudicata non è circoscritta ai capi della decisione, ma è comprensiva anche dei punti che ad essi afferiscono. Inoltre, rientra nella fisiologia del sistema la potenziale scissione temporale tra conferimento a una parte della decisione dell’autorità di cosa giudicata e riconoscimento alla medesima parte del connotato dell’esecutività, potenziale scissione ben esemplificata dal caso di annullamento parziale che investa per intero la determinazione del trattamento sanzionatorio.
2.8. Alcune tra le sentenze delle Sezioni unite richiamate hanno esaminato la figura del giudicato progressivo anche in prospettiva costituzionale. In particolare, è stata ritenuta manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità in riferimento all’art. 27, secondo comma, Cost., sul rilievo che l’art. 545, comma primo, cod. proc. pen. 1930 (riproposto dall’art. 624 del codice di rito vigente) dà riscontro, nel suo significato più ampio, al concetto di “condanna definitiva” di cui alla norma costituzionale, attribuendo il crisma della irrevocabilità solo alle parti non annullate della sentenza e non connesse con quelle annullate che, con autorità di cosa giudicata, e pertanto in maniera “definitiva”, abbiano accertato la sussistenza del fatto ed abbiano riconosciuto la responsabilità dell’imputato, nei cui confronti, quindi, il problema della presunzione di non colpevolezza non risulta neppure proponibile (Sez. U, n. 4460 del 1994, Cellerini cit.; conf. Sez. U, n. 4904 del 1997, Attinà, cit.).
3. Un esplicito “riconoscimento” del giudicato progressivo – e, con esso, un’adesione alla linea interpretativa delineata dalle decisioni delle Sezioni Unite finora illustrate – si rinviene anche nella giurisprudenza costituzionale.
La Corte costituzionale (ord. n. 367 del 1996) ha rilevato che «con l’espressione giudicato la legge non intende, certo, riferirsi all’intrinseca idoneità della decisione ad essere posta in esecuzione», rimarcando come l’istituto del giudicato parziale (art. 624 cod. proc. pen.) sia «strettamente collegato all’esercizio del potere di annullamento da parte della Corte di cassazione ed ai conseguenti limiti del giudizio di rinvio, quale diretta ed ineludibile conseguenza dell’irrevocabilità della pronuncia in relazione alle parti non annullate ed a queste non necessariamente connesse».
In sintonia con la giurisprudenza di legittimità, il giudice delle leggi ha sottolineato che, ai fini del giudicato parziale, assume rilievo la parte di sentenza che abbia acquistato definitività a seguito dell’integrale percorso dell’iter processuale consentito dall’ordinamento e concluso con la definitiva pronuncia della Corte di cassazione. Tale conclusione viene tratta dal tenore letterale dell’art. 624 cod. proc. pen., che utilizza l’espressione “autorità di cosa giudicata” rispetto a una vicenda ancora sub iudice solo in relazione alle parti della sentenza vagliate e non annullate dalla Corte di cassazione; all’infuori del giudizio di rinvio, vale il principio secondo cui «non si è in presenza di una condanna allorché è stata accertata soltanto la responsabilità dell’imputato, ma non è ancora stata applicata la pena relativa» (ord. n. 367 del 1996).4.
L’orientamento consolidato in tema di giudicato progressivo ben può essere definito in termini di “diritto vivente”, come confermato da più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità. Affrontando il tema del giudicato progressivo in relazione alla legittimazione alla proposizione del ricorso straordinario della persona nei cui confronti la sentenza sia diventata definitiva solo in ordine all’affermazione di responsabilità, ma non relativamente al trattamento sanzionatorio in rapporto al quale sia stata pronunciata sentenza di annullamento con rinvio, Sez. U, n. 28717 del 21/06/2012, Brunetto, Rv. 252935 ha ritenuto che la formazione del giudicato «ben possa assumere, proprio nelle ipotesi di annullamento parziale pronunciato in sede di legittimità, i connotati tipici di una fattispecie a formazione progressiva».
Il venir meno della presunzione costituzionale di innocenza agli effetti tipici del giudicato parziale determina lo status di “condannato”, che conferisce la legittimazione alla proposizione del ricorso straordinario. Più di recente, Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, Rv. 258652 – 4 ha ribadito la dicotomia, propria del giudicato parziale, tra “definitività” ed “eseguibilità” della pena, in base al rilievo che, in relazione al giudicato progressivo, non può cogliersi «un nesso di corrispondenza biunivoca tra la eseguibilità della sentenza penale di condanna e l’autorità di cosa giudicata attribuibile ad una o più statuizioni in essa contenute».
5. Le pronunce fin qui richiamate non hanno esaminato ex professo la questione rimessa alla cognizione delle Sezioni unite relativa all’eseguibilità della pena in mancanza di giudicato sull’intero capo o, come si vedrà, sulla pena principale relativa a detto capo, ma hanno comunque offerto utili spunti ricostruttivi per fornire una risposta alla questione. Innanzitutto, con riguardo ai processi oggettivamente cumulativi, Sez. U, n. 20 del 1996, Vitale, cit. ha messo in luce la correlazione tra autorità di cosa giudicata attribuita a un capo ed esecutività della decisione irrevocabile relativa allo stesso, qualora il giudizio di rinvio conseguente all’annullamento per gli altri capi non sia destinato ad influenzare il trattamento sanzionatorio riguardante quello per il quale è intervenuta pronuncia definitiva. In secondo luogo, Sez. U, n. 4904 del 1997, Attinà, cit. ha affermato che la definitività decisoria dell’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto criminoso non è ancora connotata dall’esaustività della regiudicata, qualora permanga un «residuo potere cognitivo del giudice di rinvio in ordine alla determinazione della pena a lui devoluta», così implicitamente riconoscendo all’indicata esaustività natura di elemento necessario per l’esecuzione della “parte” della sentenza divenuta irrevocabile. Linea interpretativa, questa, coerente con l’esclusione – affermata da Sez. U, n. 6019 del 1993, Ligresti cit. – dell’eseguibilità della sentenza in caso di annullamento relativo a punti del trattamento sanzionatorio afferenti al capo (nel resto non annullato) e accolta dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità sulla questione controversa. 6. E’ dunque alla luce della ricostruzione sistematica del giudicato progressivo fin qui delineata che occorre esaminare gli indirizzi giurisprudenziali formatisi sulle questioni sottoposte all’esame delle Sezioni unite.
6.1. Un primo, maggioritario, orientamento instaura una chiara correlazione tra passaggio in giudicato di un capo e sua attitudine a integrare il titolo esecutivo e, dunque, sua eseguibilità. In questa prospettiva, si è affermato che, nel caso in cui la sentenza, pur documentalmente unica, ricomprenda una pluralità di capi e di imputazioni a carico dello stesso imputato, dall’autonomia di ciascuno di essi deriva il passaggio in giudicato di quei capi della sentenza non investiti dall’annullamento con rinvio a seguito della sentenza della Corte di cassazione, con conseguente obbligo per la competente autorità giudiziaria di porre in esecuzione il titolo penale per la parte divenuta irrevocabile, nonostante il processo, in conseguenza dell’annullamento parziale, debba proseguire, in sede di rinvio, per la nuova decisione sui capi annullati (Sez. 1, n. 4506 del 10/12/1990, dep. 1991, Teardo, Rv. 186838). Sempre nell’ambito del primo orientamento, Sez. 1, n. 575 del 12/02/1993, Fracapane, Rv. 193656 ha affermato che l’irrevocabilità e la conseguente esecutività della sentenza penale di condanna devono necessariamente riguardare il capo d’imputazione nella sua interezza, a nulla rilevando in contrario la possibile formazione di un giudicato parziale prevista, nel caso di annullamento con rinvio, dall’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., giacché, in tale ultima ipotesi, si tratta di un’irrevocabilità connessa allo sviluppo del rapporto processuale e limitata ad una o più statuizioni aventi un’autonomia giuridico- concettuale anche nell’ambito di un singolo capo d’imputazione, senza che, però, ciò incida sulla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato; in applicazione del principio di diritto richiamato, è stata esclusa la possibilità di mettere in esecuzione la pena sia pure limitatamente alla parte di essa calcolata tenendo conto della possibile applicazione, nella massima estensione, delle circostanze attenuanti generiche, in caso di annullamento di una sentenza di condanna unicamente sul punto concernente l’applicabilità o meno di dette attenuanti.
Impostazione, questa, ribadita da Sez. 1, n. 10291 del 30/05/1994, Antonini, Rv. 199165, nonché da Sez. 1, n. 25881 del 12/05/2015, Neri, non mass., che ha annullato l’ordine di esecuzione della pena prevista per il reato non aggravato – ordine emesso in pendenza del giudizio di rinvio, conseguente all’annullamento disposto dalla Corte di cassazione circa la sussistenza dell’aggravante – in base alla considerazione che il giudizio di rinvio avrebbe potuto condurre a una diversa determinazione della pena. Valorizzando la nozione di capo della sentenza quale decisione emessa relativamente a uno dei reati attribuiti all’imputato e il suo connotato di oggetto della singola azione penale e del singolo rapporto processuale confluito nel processo cumulativo, Sez. 2, n. 6287 del 15/12/1999, dep. 2000, Piconi, Rv. 217857 mette in evidenza «l’autonomia giuridico-concettuale» della statuizione concernente la singola imputazione, che, se non in connessione essenziale con le parti della sentenza annullate e completa quanto all’indicazione dell’entità della pena, acquista autorità di cosa giudicata e può essere messa in esecuzione, sottolineando il rilievo centrale che la “completezza” della determinazione della pena, divenuta irrevocabile, assume ai fini dell’esecutività della stessa.
6.2. Proprio la necessaria individuazione, in termini di “completezza” (per riprendere l’espressione della citata sentenza Piconi), della pena da irrogare è valorizzata da Sez. 1, n. 32477 del 19/06/2013, Dello Russo, Rv. 257003 per escludere l’eseguibilità della sentenza nella parte relativa a un capo in ipotesi di reato continuato nelle quali l’annullamento con rinvio riguardi altri capi potenzialmente idonei a essere qualificati come violazione più grave ex art. 81 cod. pen., osservandosi, in proposito, che il vincolo della continuazione affermato nella sentenza oggetto di annullamento è d’ostacolo all’esecuzione parziale della sentenza, se il giudizio di rinvio possa portare a uno stravolgimento delle indicazioni di pena in esito a una rivisitazione della struttura del reato continuato e, quindi, a una diversa qualificazione del reato più grave all’interno della sequela criminosa ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen.
Al contrario, l’eseguibilità parziale della sentenza per la quale sia intervenuta la formazione progressiva del giudicato trova applicazione quando l’annullamento con rinvio riguardi soltanto i reati satellite, non comporti un mutamento nella individuazione del reato più grave e sia, quindi, già individuata la pena minima che il condannato deve, comunque, espiare (Sez. 1, n. 6189 del 17/12/2019, dep. 2020, Castiglione, Rv. 278473). Sempre in ipotesi di annullamento con rinvio riguardante alcuni dei reati in continuazione, in un caso in cui detto annullamento aveva riguardato anche reati potenzialmente considerabili come violazione più grave del reato continuato, Sez. 1, n. 30780 del 05/07/2018, Fiesoli, non mass., ha affermato che la pena “determinabile” sulla base di computi ipotetici, anche se idonei a condurre a un esito certo, non può essere considerata irrevocabilmente determinata e, dunque, non assume il connotato dell’esecutività: osserva, infatti, perspicuamente la sentenza Fiesoli che «benché il ragionamento in ipotesi consegni un risultato certo, almeno nel minimo di pena eseguibile, la pena posta in esecuzione non è stata ancora determinata con pronuncia sul punto irrevocabile», sicché «il fatto che il risultato finale non potrà consistere in una pena inferiore a quella ora posta in esecuzione non significa che la pena sia stata già definita».
La continuazione tra reati di cui a capi di sentenza in parte divenuti irrevocabili e in parte oggetto di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione può non essere di ostacolo all’esecuzione della condanna relativa ai primi (Sez. 1, n. 36331 del 30/06/2015, Cafasso, Rv. 264528), quando la decisione divenga irrevocabile in relazione all’affermazione di responsabilità e contenga già l’indicazione della pena minima che il condannato deve comunque espiare; in tale ipotesi, la stessa deve essere messa in esecuzione e l’eventuale rinvio disposto dal giudice di legittimità su questioni attinenti ai reati avvinti dalla continuazione con quello più grave (c.d. reati satelliti) e, segnatamente, alle addizioni di pena, non incide sulla immediata eseguibilità delle statuizioni già passate in cosa giudicata (Sez. 1, n. 2071 del 20/03/2000, Soldano, Rv. 215949). In altri termini, la formazione del giudicato parziale, per essere la decisione di condanna divenuta irrevocabile in relazione all’affermazione di responsabilità per uno o per alcuni dei reati contestati con indicazione della pena che il condannato deve comunque espiare, impone che la condanna sia messa in esecuzione, a nulla rilevando l’annullamento con rinvio per gli altri autonomi capi (Sez. 1, n. 23592 del 05/06/2012, Martuzi, Rv. 253337, in una fattispecie in cui l’annullamento con rinvio aveva investito la disposta espulsione).
6.3. Il riferimento all'”autonomia” dei capi oggetto di annullamento rispetto a quelli per i quali la condanna irrevocabile è idonea a essere messa in esecuzione rinvia, dunque, alla necessità, ai fini dell’eseguibilità, che i secondi non abbiano connessione essenziale con i primi. Secondo l’orientamento in esame, il possibile iato tra autorità di giudicato ed esecutività è superabile in presenza di una irrevocabilità che investa un capo e di una definizione del trattamento sanzionatorio insuscettibile di modifica. In materia di esecutività delle sentenze, quando la decisione divenga irrevocabile in relazione all’affermazione di responsabilità, anche per uno solo o per alcuni dei reati contestati e contenga già l’indicazione della pena minima che il condannato deve comunque espiare, questa deve essere messa in esecuzione, in quanto l’eventuale rinvio disposto dalla Corte di cassazione relativamente ad altri reati non incide sull’immediata eseguibilità delle statuizioni residue aventi propria autonomia (Sez. 5, n. 2541 del 02/07/2004, dep. 2005, Pipitone, Rv. 230891; conf. Sez. 6, n. 3216 del 20/08/1997, Maddaluno, Rv. 208873). In assenza delle condizioni indicate, l’annullamento parziale che investa uno dei punti del capo, in modo da non escludere la modificabilità della pena irrogata in relazione al medesimo capo,innpedisce l’eseguibilità della sentenza in parte qua e determina la perdurante qualificazione dello status di imputato con conseguente applicabilità della disciplina processuale relativa ai termini di durata della misura cautelare (Sez. 4, n. 10674 del 19/02/2013, Macrì, Rv. 254940; Sez. 6, n. 273 del 05/11/2013, dep. 2014, Elia, Rv. 257769). In tali casi, la formazione del giudicato progressivo riguarda esclusivamente l’accertamento del reato e la responsabilità dell’imputato, sicché la detenzione dell’imputato deve essere considerata non come esecuzione di pena definitiva, ma come custodia cautelare (Sez. 6, n. 2324 del 19/12/2013, dep. 2014, Ben Lahmar, Rv. 258251; conf. Sez. 1, n. 53429 del 10/10/2017, Bracale, non mass.) sottoposta alle regole sulla decorrenza termini (Sez. 1, n. 22293 del 05/05/2004, De Finis, Rv. 228199). 7. Profilo saliente del secondo orientamento, invece, è l’opzione favorevole alla possibilità di associare all’autorità di cosa giudicata l’esecutività della condanna relativa a un capo anche in presenza di un annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione su un punto afferente a tale capo (ad esempio, una circostanza) e, dunque, anche nel caso in cui il passaggio in giudicato del capo stesso non sia intervenuto nella sua “interezza”. Il distacco rispetto al primo indirizzo è netto (anche se non esplicitato nelle motivazioni) e puntualmente l’ordinanza di rimessione ne sottolinea il carattere innovativo: «l’attuazione fedele dei pronunciamenti delle Sezioni Unite si è riscontrata nell’affermazione dell’esecutività parziale sul capo autonomo non oggetto di annullamento; significativamente diversa è invece l’ipotesi di un giudicato parziale su alcuni punti di un unico capo, specificamente sul punto relativo all’affermazione di responsabilità».
7.1. Nella prospettiva del secondo orientamento, infatti, ai fini dell’esecutività della parte di sentenza divenuta irrevocabile, è, in via esclusiva, decisivo che, in relazione ad essa, possa essere definito con certezza nel quantum il minimo inderogabile di pena irrogata (Sez. 1, n. 12904 del 10/11/2017, dep. 2018, Centonze, Rv. 272610, in una fattispecie relativa ad annullamento con rinvio disposto con riguardo alla recidiva; Sez. 1, n. 41941 del 21/09/2012, Pitarà, Rv. 253622, in una fattispecie relativa ad annullamento con rinvio disposto con riguardo a una circostanza aggravante), ossia l’individuazione della pena detentiva minima irrogata per effetto delle statuizioni non attinte dall’annullamento (Sez. 1, n. 43824 del 12/04/2018, Milito, Rv. 274639, in una fattispecie relativa ad annullamento con rinvio disposto con riguardo ad una circostanza aggravante; conf. Sez. 3, n. 253 del 22/11/2019, dep. 2020, Ruggiero, Rv. 278263, che, pur richiamando il principio di diritto enunciato da Sez. U, Vitale, ha ritenuto esecutiva la pena irrogata in relazione a un capo per il quale era stato disposto l’annullamento con rinvio relativamente a una circostanza aggravante).
7.2. Altre pronunce, sempre riconducibili al secondo orientamento, ritengono non necessario che l’entità minima di pena irrogata sia indicata dalle sentenze intervenute in sede di cognizione e argomentano che, ai fini dell’esecutività della parte di sentenza dotata di autorità di cosa giudicata, è essenziale che «non residuino margini di incertezza in ordine al quantitativo di pena (minima) non più passibile di essere modificata, se non in aumento, poco importando se quel quantitativo sia espressamente indicato nella parte di sentenza non annullata o se, invece, sia implicitamente desumibile dalla statuizione irrevocabile in punto di responsabilità come diretta conseguenza del combinarsi di detta statuizione con le inderogabili previsioni di legge circa il limite edittale minimo per il reato riconosciuto in sentenza» (Sez. 1, n. 33154 del 15/05/2019, Chirico, Rv. 277226, la quale sottolinea che «i precedenti arresti, che parimenti hanno concluso per l’esecutività delle parti di sentenza oggetto di giudicato parziale, fanno riferimento a pene determinate nelle parti non attinte dall’annullamento»), sicché il calcolo condotto sui minimi di legge conferisce «certezza alla pena da porre in esecuzione / perché, al di là degli sviluppi del giudizio conseguente all’annullamento parziale, questo nucleo minimo di pena non era sin da subito revocabile in dubbio» (Sez. 1, n. 19644 del 09/04/2019, Gallo, Rv. 275605; conf. Sez. 1, n. 42728 del 20/09/2019, Buonavoglia, che, in un caso di annullamento limitato all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, ha affermato che l’irrevocabile applicazione della recidiva reiterata, con la limitazione al giudizio di bilanciamento che essa comporta, rendeva la pena per i reati accertati irrevocabile nella misura minima e, dunque, entro questo limite, idonea a formare oggetto di un titolo eseguibile). L’eseguibilità di una pena individuabile in termini di certezza, sia pure sulla base di computi ipotetici, è stata affermata anche da Sez. 1, n. 46150 del 12/04/2018, Paun, non mass., in relazione a una fattispecie in cui l’annullamento con rinvio aveva riguardato due capi (oltre a una circostanza aggravante), uno dei quali suscettibile – in caso di condanna per lo stesso all’esito del giudizio di rinvio – di integrare la violazione più grave del reato continuato ex art. 81 cod. pen.: infatti, osserva la sentenza Paun, la pena detentiva minima, ove pure l’esito del giudizio di rinvio fosse del tutto favorevole all’imputato (ossia con la totale – se possibile – esclusione della sua responsabilità per i due restanti reati e la nuova persistente esclusione della circostanza aggravante ex art. 7 della legge n. 203 del 1991), «coinciderebbe con quella oggetto dell’ordine di esecuzione per la carcerazione oggetto di esame, mentre, in tutte le altre ipotesi, ossia ove l’esito del giudizio rescissorio fosse in tutto o in parte sfavorevole all’imputato, la pena detentiva che ne sortirebbe sarebbe ineludibilmente più elevata». Come si vede, la sentenza Paun “sposta” il confine tra i due orientamenti in esame: a venire in rilievo non è più la – controversa – possibilità di riconoscere l’esecutività di un capo per il quale uno dei punti idoneo ad influire sulla determinazione della pena sia stato oggetto dell’annullamento con rinvio, ma la possibilità di mettere in esecuzione la pena relativa a un capo il cui ruolo nell’ambito del reato continuato – quale reato-satellite o come violazione più grave – sia ancora sub iudice. Sotto questo profilo, la decisione appena richiamata si contrappone nettamente al primo orientamento che circoscrive detta possibilità all’ipotesi in cui non sia più in discussione l’individuazione della violazione più grave e l’annullamento investa solo i reati-satellite (Sez. 1, n. 32477 del 2013, Dello Russo, cit.; Sez. 1, n. 6189 del 2019, dep. 2020, Castiglione, cit.).
8. Le Sezioni Unite ritengono di aderire al primo orientamento, con le puntualizzazioni di seguito indicate, ma, comunque, in una linea di continuità con il “diritto vivente” formatosi in tema di giudicato progressivo. 8.1. Occorre prendere le mosse dalla «dicotomia» (per richiamare l’espressione di Sez. U, n. 4469 del 1994, Cellerini, cit.), tra acquisizione di autorità di giudicato di una “parte” della sentenza non oggetto dell’annullamento parziale – “parte” da intendersi, come si è visto, sulla base di una nozione comprensiva non solo del capo, ma anche soltanto dei punti afferenti a un capo non investito in toto del crisma dell’irrevocabilità – ed eseguibilità della pena. Occorre, dunque, distinguere tra autorità di cosa giudicata conferita alla parte non annullata, che si ricollega all’esaurimento del giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato, ed eseguibilità, che, invece, presuppone la formazione di un vero e proprio titolo esecutivo (Sez. U, n. 373 del 1990, Agnese, cit.). Al giudicato progressivo è associata una definitività decisoria relativa all’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto criminoso e alla conclusione dell’iter processuale su tale parte, benché la regiudicata possa non essere ancora connotata dall’esaustività per il permanere del residuo potere cognitivo del giudice di rinvio in ordine alla determinazione della pena a lui devoluta (Sez. U, n. 4904 del 1997, Attinà). Dalla lettura coordinata degli artt. 624, 648 e 650 cod. proc. pen., si desume che la formazione del titolo esecutivo consegue all’irrevocabilità delle parti della sentenza relative all’accertamento della responsabilità del fatto-reato e della responsabilità dell’accusato e alla determinazione della pena: quest’ultimo principio assume significativo rilievo ai fini della soluzione della questione posta dall’ordinanza di rimessione. L’irrevocabilità dei punti della decisione afferenti al giudizio di colpevolezza dell’imputato – nell’interpretazione della nozione di “parte” della sentenza ex art.624 cod. proc. pen. accolta dal diritto vivente – offre un sicuro fondamento giustificativo agli effetti correlati al giudicato progressivo, effetti non limitati alla definizione (o, meglio, alla riduzione) dell’ambito cognitivo e decisorio del giudizio di rinvio, ma comprensivi anche della “barriera” alla rilevazione di alcune cause estintive del reato.
Tale fondamento giustificativo dà corpo a quella “condanna definitiva” che, in forza dell’art. 27, secondo comma, Cost., segna, a questi fini, il superamento della presunzione di innocenza (Sez. U, Cellerini). In altri termini, qualora il giudicato progressivo abbia sancito l’irrevocabilità dell’accertamento della sussistenza del reato oggetto del medesimo capo e della sua attribuzione all’accusato, l’annullamento parziale con rinvio relativo a punti di un capo non esclude gli effetti tipici dello stesso giudicato progressivo (quali la definizione dell’ambito cognitivo e decisorio del giudizio di rinvio e la non rilevabilità della prescrizione e di altre cause estintive del reato). Questi effetti non contrastano con la presunzione di innocenza, essendo strettamente dipendenti dall’accertamento che, con la sentenza di annullamento parziale, ha visto il giudizio di colpevolezza sul fatto (nei due punti relativi all’accertamento del reato e alla sua attribuzione all’accusato) irrevocabilmente sancito dalla decisione della Corte di cassazione. Conclusione, questa, suffragata dalla lettura coordinata dell’art. 27, secondo comma, Cost. e dell’art. 111, settimo comma, Cost., dalla quale si ricava che la definitività della sentenza nella parte non oggetto dell’annullamento parziale e il conseguente superamento della presunzione d’innocenza hanno come presupposto la proposizione (oltre che la proponibilità) del ricorso per cassazione e, anzi, la decisione sullo stesso, sicché, come si è osservato in dottrina, in caso di irrevocabilità della decisione sull’accertamento del fatto e sulla responsabilità dell’imputato, la sentenza di condanna è ormai divenuta definitiva sul tema della responsabilità, con l’esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione su quella parte della sentenza non oggetto di annullamento.
8.2. Tale conclusione trova ulteriore conferma nella giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, che, nel recepire l’impostazione del diritto vivente in tema di giudicato progressivo circa il possibile iato temporale tra irrevocabilità delle parti non annullate ed eseguibilità delle relative pene, ha rilevato che la nozione di giudicato non va riferita all’intrinseca idoneità della decisione ad essere posta in esecuzione e che il giudicato parziale ex art. 624 cod. proc. pen. è strettamente collegato all’esercizio del potere di annullamento da parte della Corte di cassazione e ai conseguenti limiti del giudizio di rinvio, quale diretta e ineludibile conseguenza dell’irrevocabilità della pronuncia in relazione alle parti non annullate e a queste non necessariamente connesse (ord. n. 367 del 1996).
8.3. Indicazioni del tutto coerenti con la prospettiva accolta dal diritto vivente possono trarsi anche dalla giurisprudenza sovranazionale.In particolare, la Corte europea dei diritti dell’uomo esclude, di regola, l’applicabilità dell’art. 6, § 2, Cedu al procedimento volto esclusivamente alla commisurazione della sanzione dopo la condanna, in base alla considerazione che la citata norma convenzionale restringe la portata della presunzione di innocenza al mero accertamento legale della colpevolezza (Corte EDU, IV sez., sent. Phillips vs Regno Unito, 05/07/2001, § 3; Corte EDU, III sez., dec. Van Offeren vs Olanda, 05/07/2005; Corte EDU, II sez., dec. Previti vs Italia, 08/12/2009, § 267), a differenza dell’art. 27, secondo comma, Cost., che richiede un accertamento definitivo collegato, almeno, alla proponibilità del ricorso per cassazione per violazione di legge.
8.4. I convergenti approdi delle decisioni della Corte di cassazione e della Corte costituzionale (in linea con le indicazioni offerte dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo) consentono di superare le critiche mosse da alcuni contributi dottrinali all’interpretazione fornita dalla giurisprudenza alla nozione di “parte” della sentenza non oggetto di annullamento parziale come comprensiva anche dei punti (e, segnatamente, di quelli relativi all’accertamento del fatto e alla sua attribuzione all’accusato). Tali rilievi sviliscono la specialità della forza precettiva dell’art. 624, comma 1, cod. proc. pen. – in virtù della quale è riconosciuta l’autorità del giudicato sia ai capi che ai punti della sentenza (Sez. U, n. 1 del 2000, Tuzzolino, cit.) – specialità che, nell’interpretazione del diritto vivente, costituisce il fondamento normativo della richiamata “dicotomia” tra irrevocabilità di “parti” della sentenza e possibilità di dare alle stesse esecuzione.
8.5. D’altra parte, non è sempre eseguibile neppure il giudicato parziale formatosi quando un “intero” capo non sia stato attinto da annullamento parziale, posto che va esclusa l’eseguibilità della sentenza nella parte relativa a un capo se, in ipotesi di reato continuato, l’annullamento con rinvio investa capi che, all’esito del giudizio di rinvio, potrebbero essere qualificati come violazione più grave ex art. 81 cod. pen., ossia se il giudizio di rinvio possa portare ad uno stravolgimento delle indicazioni di pena in esito a una rivisitazione della struttura del reato continuato e quindi a una diversa qualificazione del reato più grave all’interno della sequela criminosa ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. (Sez. 1, n. 6190 del 17/12/2019, dep. 2020, Bruno; Sez. 1, n. 32477 del 2013, Dello Russo, cit.). Al riguardo, è indubbio che non può riconoscersi l’attributo dell’esecutività alla pena relativa a un capo, pur irrevocabile quanto all’affermazione di responsabilità, posto dalla sentenza in continuazione con i reati di cui ad altri capi, qualora sia ancora sub iudice l’individuazione della violazione più grave. Decisiva, inoltre, è la considerazione che la connessione essenziale tra le parti della sentenza annullate e quelle non annullate ben può riguardare punti relativi al medesimo capo. Il rapporto di connessione essenziale, richiesto quale condizione imprescindibile per attrarre alla cognizione del giudice di rinvio le disposizioni della sentenza non comprese tra quelle annullate, va inteso come necessaria interdipendenza logica e giuridica tra le diverse statuizioni, di guisa che l’annullamento di una di esse rende inevitabile il riesame di quelle parti che, perché non suscettibili di autonoma decisione, impongono un rinnovato giudizio (Sez. U, Agnese). Sulla base delle considerazioni sin qui svolte è possibile affermare che l’annullamento parziale della sentenza di condanna, limitatamente all’esclusione di una circostanza aggravante o al riconoscimento di una circostanza attenuante, implica la formazione del giudicato relativamente alla parte della sentenza che concerne l’affermazione di responsabilità, con la conseguente inoperatività nel giudizio di rinvio della causa di estinzione del reato della prescrizione (Sez. 2, n. 12967 del 14/03/2007, Mazzei, Rv. 236462; Sez. 2, n. 8039 del 09/02/2010, Guerriero, Rv. 246806; Sez. 4, n. 114 del 28/11/2018, dep. 2019, Malventi, Rv. 274828), ma, come si vedrà, non l’esecutività della pena.
8.6. Pertanto, deve ribadirsi che, in caso di annullamento parziale, l’autorità di cosa giudicata può essere riconosciuta, a norma dell’art. 624 cod. proc. pen., anche a punti relativi a un capo della sentenza oggetto di annullamento parziale e, segnatamente, a quelli relativi all’affermazione di responsabilità per un fatto- reato (accertamento del fatto e attribuzione dello stesso all’accusato), non legati da connessione essenziale con la parte annullata. In tal caso, al giudicato progressivo sono associati quali effetti tipici sia limitazioni ai poteri cognitivi e decisori in sede di rinvio, sia la “barriera invalicabile” alla rilevazione di determinate cause di estinzione del reato quale la prescrizione.
9. Non rientra, invece, tra gli effetti ineludibilmente associabili al giudicato parziale formatosi solo sull’accertamento del fatto-reato e sulla sua attribuzione all’imputato l’eseguibilità, anche a determinate condizioni, della pena. L’eseguibilità richiede, infatti, quale presupposto necessario, l’irrevocabilità della sentenza non solo nella parte relativa a tutti i profili del fatto-reato e della relativa affermazione di responsabilità, compresi quelli afferenti alle circostanze, ma anche in quella riguardante la determinazione della pena (presupposto che, naturalmente, si aggiunge all’assenza di vincoli connettivi tra le parti della decisione non oggetto di annullamento e quelle annullate, assenza in difetto della quale l’irrevocabilità delle prime non può dirsi conseguita).
9.1. Come condivisibilmente affermato dal primo, maggioritario, orientamento, va sottolineata l’autonomia giuridico-concettuale (Sez. 2, n. 6287 del 2000, Piconi, cit.) della statuizione relativa a ciascun capo nella sentenza cumulativa, autonomia ad ogni effetto giuridico più di recente ribadita, su un diverso terreno, da Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268965. A questa considerazione deve associarsi il rilievo che, ai fini dell’esecutività della corrispondente pena, la relativa statuizione dev’essere anch’essa divenuta irrevocabile e, dunque, deve risultare “completa” (Sez. 2, n. 6287 del 2000, Piconi, cit.), ossia non suscettibile di modifiche all’esito del giudizio di rinvio, e “certa”, ossia individuabile sulla base delle sentenze rese in sede di cognizione e non ricostruibile attraverso ragionamenti ipotetici, in quanto il fatto che il risultato finale non potrà consistere in una pena inferiore a quella ora posta in esecuzione non significa che la pena sia stata già definita (Sez. 1, n. 30780 del 2018, Fiesoli, cit.). E’ a queste condizioni che il giudicato parziale avente ad oggetto la pena relativa a un capo può (in presenza delle ulteriori condizioni e con le puntualizzazioni di seguito messe a fuoco) dare corpo alla formazione di un vero e proprio titolo esecutivo, e, quindi, alla materiale e giuridica possibilità dell’esecuzione della sentenza nei confronti di un determinato soggetto (Sez. U, n. 373 del 1990, Agnese, cit.), essendo escluso qualsiasi potere cognitivo del giudice del rinvio in ordine alla determinazione della pena (Sez. U, n. 4904 del 1997, Attinà, cit.). Non è, invece, necessario per l’esecutività della pena il passaggio in giudicato dell’intera sentenza. Come chiarito da Sez. U, n. 20 del 1996, Vitale, nel caso in cui la sentenza, pur documentalmente unica, ricomprenda una pluralità di capi e di imputazioni a carico dello stesso imputato, dalla autonomia di ciascuno di essi deriva il passaggio in giudicato di quei capi della sentenza non investiti dall’annullamento e, con esso, la possibilità di porre in esecuzione il titolo penale per la parte divenuta irrevocabile, nonostante il processo, in conseguenza dell’annullamento parziale, debba proseguire, in sede di rinvio, per la nuova decisione sui capi annullati. In altri termini, l’unitarietà della sentenza oggettivamente cumulativa (in quanto, come rilevato anche in dottrina, meramente formale ed eventuale) non impedisce l’irrevocabilità di alcune sue “parti” in caso di annullamento parziale, nonché l’esecutività delle stesse sussistendo le condizioni idonee a superare la dicotomia tra l’una e l’altra messa in luce dal diritto vivente in tema di giudicato parziale. Al riguardo, la necessità che la determinazione in toto della pena (pure, in particolare, in relazione alle circostanze del reato) rispetto a un capo abbia anch’essa acquisito autorità di cosa giudicata (nei limiti di seguito indicati) trova conferma nei vari riferimenti, operati dalle decisioni riconducibili al primo orientamento, all’applicazione della disciplina delle misure cautelari in presenza di una cosa giudicata formatasi non sull’intero capo, ma sui soli punti relativi all’accertamento del fatto-reato e alla sua attribuzione all’imputato; in caso di annullamento relativo a una circostanza aggravante, ad esempio, si è rimarcata la necessità di applicare la disciplina dei termini di custodia cautelare (Sez. 4, n. 10674 del 2013, Macrì, cit.). Sotto questo profilo, i due orientamenti si distinguono nettamente sul piano degli effetti, poiché il primo determina una contrazione dell’area dell’esecutività della pena e un corrispondente ampliamento di quella della disciplina delle misure cautelari, mentre il secondo comporta effetti opposti. A questo proposito, è nota la rigorosa interpretazione data dalla giurisprudenza costituzionale alla riserva di legge rinforzata prevista dall’art. 13, ultimo comma, Cost. in tema di termini massimi della carcerazione preventiva. Ricostruendo il sistema delineato dal legislatore codicistico, la Corte ha rimarcato che ai termini di fase (di durata variabile in funzione della gravità della pena prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza e della fase in cui si trova il procedimento), ai termini finali di fase e ai termini complessivi si aggiungono i «termini finali complessivi, in funzione di limite massimo insuperabile (c.d. massimo dei massimi) anche ove si verifichino ipotesi di sospensione, proroga o neutralizzazione del decorso dei termini di custodia cautelare» (Corte cost., sent. n. 299 del 2005); la giurisprudenza costituzionale ha inoltre sottolineato che la previsione di “massimi dei massimi” rappresenta un’«attuazione di “secondo grado” dell’art. 13, quinto comma, Cost.» (Corte cost., ord. n. 397 del 2000). Dall’art. 13, ultimo comma, Cost. e dalla giurisprudenza costituzionale si evince, quindi, che, al fine di salvaguardare l’effettività dell’articolato sistema dei termini di custodia prefigurato dal codice di rito, l’interpretazione del “passaggio” dallo status di imputato assoggettato a misura cautelare a quello di detenuto sottoposto ad esecuzione della pena deve connotarsi in termini rigorosi, proprio allo scopo di non affievolire la funzione costituzionalmente necessaria dell’apparato normativo posto a presidio della durata della misura cautelare. E’ in linea con questa interpretazione restrittiva il primo orientamento che instaura una correlazione tra formazione del titolo esecutivo e irrevocabilità della determinazione della pena (Sez. U, n. 4904 del 1997, Attinà, cit.) relativa a un capo. Sotto questo profilo, l’irrevocabilità dell’accertamento del fatto-reato e della sua attribuzione all’accusato offrono, come si è detto, un fondamento giustificativo agli effetti del giudicato progressivo concernenti la limitazione dei poteri cognitivi e decisori del giudice del rinvio e la non rilevabilità di determinate cause di estinzione del reato (quale la prescrizione), ma non consentono, da soli, di qualificare la detenzione dell’imputato come esecuzione della pena. La rilevata mancanza di “certezza” e di “completezza” della pena conseguente al fatto che, nei casi di giudicato parziale relativo solo ai punti sopra richiamati, la determinazione della pena è ancora sub iudice, impedisce la formazione di un titolo esecutivo e, con essa, l’attribuzione alla detenzione della qualificazione di esecuzione della pena. Ne consegue, secondo l’interpretazione restrittiva in precedenza indicata, la non eseguibilità della pena sulla base di un titolo ancora “precario”, in quanto esposto alle modifiche circa l’entità stessa della pena da irrogare (ad esempio, in conseguenza dell’applicazione o meno di una circostanza, della definitiva individuazione della violazione più grave nell’ambito del reato continuato, dell’applicabilità della sospensione condizionale della pena) ovvero “virtuale”, in quanto frutto di computi ipotetici e, simmetricamente, l’impossibilità di sottrarre le relative fattispecie alla stringente disciplina delle misure cautelari e dei relativi termini. Di qui, in conclusione, la necessità, ai fini dell’esecutività della pena, che anche la sua commisurazione sia divenuta irrevocabile, essendo essa immodificabile nel giudizio di rinvio e individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione.
9.2. Anche il profilo finalistico dell’esecuzione della pena accredita, da un altro punto di vista, l’adesione al primo orientamento, con le puntualizzazioni di seguito indicate. Nel quadro delle plurime finalizzazioni costituzionalmente rilevanti riconosciute alla pena, la più recente giurisprudenza costituzionale ha rimarcato la centralità, nella definizione del volto costituzionale del sistema penale, della funzione rieducativa, richiamando il principio della non sacrificabilità di tale funzione sull’altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena (Corte cost., sent. n. 149 del 2018). L’evoluzione della portata del principio rieducativo ha condotto a declinarlo nella prospettiva del reinserimento sociale del condannato, che ha trovato riscontro anche nell’ordinamento penitenziario di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, il cui art. 1 fa espressamente riferimento ad essa, laddove l’art. 13, terzo comma, come modificato dall’art. 11 del d. Igs. 2 ottobre 2018, n. 123, nel definire le modalità dell’individualizzazione del trattamento, richiama l’offerta al condannato dell’opportunità di una riflessione sul fatto criminoso commesso. Se, dunque, il percorso che tende al reinserimento sociale del condannato prevede una riflessione sul fatto criminoso commesso (e, a determinati fini, una revisione critica delle pregresse scelte criminali: cfr., in tema di liberazione condizionale, Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012, Somma, Rv. 253183; conf., ex plurimis, Sez. 1, n. 19296 del 09/06/2020, Sinagra; Sez. 1, n. 48692 del 25/05/2019, Asero), l’esecuzione penale relativa a un reato per il quale siano ancora sub iudice punti significativi ai fini della completa definizione del fatto criminoso e del suo complessivo disvalore (quali, in particolare, l’applicazione delle circostanze) risulterebbe privata della possibilità di una compiuta riflessione, da parte dell’autore del fatto, su di esso e sulle relative ripercussioni sulla vittima. L’esecuzione della pena relativa a un trattamento sanzionatorio ancora in parte sub iudice risulterebbe, quindi, non in grado di assicurare l’effettiva dispiegabilità del percorso di reinserimento sociale del detenuto, così ponendosi in tensione con il fondamentale principio rieducativo della pena.
9.3. Nella medesima prospettiva, mette conto osservare che, privata dei connotati della “certezza” e della “completezza” della pena irrogata in relazione a un capo che non abbia acquisito autorità di cosa giudicata nei punti relativi all’affermazione della responsabilità, anche in rapporto alle circostanze del reato, nonché, naturalmente, all’esatta qualificazione giuridica del fatto-reato (Sez. 2, n. 8462 del 29/01/2019, Gori, Rv. 276321) e a tutti i profili attinenti alla pena, la nozione di pena minima inderogabile su cui fa leva il secondo orientamento non è idonea a integrare un titolo esecutivo relativo a uno o più capi. Non è, quindi, condivisibile tale indirizzo, che propugna detta nozione per riconoscere l’eseguibilità della pena relativa a un giudicato progressivo che investa l’affermazione di responsabilità dell’imputato per il fatto-reato, ma non, ad esempio, il punto concernente l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione (Sez. U, n. 1 del 2000, Tuzzolino, cit.). Incompleta quanto all’accertamento irrevocabile in sede di cognizione e incerta nella sua definitiva entità, l’eseguibilità della pena minima irrogata per effetto delle statuizioni non attinte dall’annullamento (Sez. 1, n. 43824 del 2018, Milito, cit.), ossia del quantum minimo inderogabile di pena inflitta (Sez. 1, n. 12904 del 2017, dep. 2018, Centonze, cit.), risulterebbe foriera di incongruenze sistematiche, essendo incompatibile con vari istituti della fase dell’esecuzione che fanno leva, quale parametro applicativo, proprio sull’entità della pena irrogata in relazione a un reato, appunto in esecuzione, entità che, quindi, non può essere stabilita in tempi diversi. Si pensi, ad esempio, a istituti quali la sospensione dell’ordine di esecuzione (art. 656 cod. proc. pen.) ovvero alle misure alternative quali l’affidamento in prova ai servizi sociali (art. 47 ord. pen.), istituti la cui applicabilità con riguardo alla pena relativa a un capo non ancora irrevocabilmente definita risulterebbe potenzialmente incompatibile con i presupposti legali di ciascuno. Coglie dunque nel segno il ricorso lì dove sottolinea l’«impossibilità di gestire detta sanzione [la pena “minima” di cui si è detto: n.d.r.] in executivis per le inevitabili ricadute in tema di ordinamento penitenziario e di misure alternative alla detenzione», interrogandosi sull’«esito che dovrebbe avere l’eventuale accesso ad una misura alternativa, qualora poi dovesse intervenire un “supplemento” della pena detentiva per effetto del giudizio di rinvio». Al contrario, nessuna incongruenza si registra con riguardo alla pena irrogata in relazione a un capo qualora la determinazione di detta pena, insieme con l’affermazione di responsabilità dell’imputato anche, in particolare, in relazione alle circostanze del reato, abbia acquisito, in termini di “certezza” e di “completezza”, autorità di cosa giudicata. Infatti, tale pena, per la già rimarcata autonomia giuridico-concettuale delle statuizioni relative a ciascun capo (ove non in connessione essenziale con gli altri), si presta ad essere messa in esecuzione, senza incontrare ostacoli in sede applicativa qualora il giudizio di rinvio modifichi il quantum della pena complessivamente irrogata per altri capi autonomi (costituenti, ad esempio, rispetto al reato più grave già dotato di autorità di cosa giudicata, reati-satellite del reato continuato) di cui alla sentenza oggettivamente cumulativa e senza determinare le incongruenze sistematiche che si registrano, come si è visto, nelle ipotesi di accesso a benefici “consentito” alla luce della pena relativa a un reato provvisoriamente individuata nel suo minimo inderogabile (seguendo l’impostazione del secondo orientamento), ma non più compatibile con la pena di entità maggiore stabilita in sede di rinvio. E’ indubbio, infatti, che il quantum della pena irrogata e divenuta irrevocabile in relazione a un capo, per il quale sia intervenuto il giudicato parziale in termini tali da attribuire il carattere dell’irrevocabilità alla pena stessa, può certo subire modifiche all’esito del giudizio di rinvio in ordine ad altri capi. Si tratta, però, di modifiche attinenti a vicende “esterne” al capo divenuto (con le precisazioni di seguito svolte) irrevocabile, quali, ad esempio, la continuazione con altri reati-satellite. Siffatte vicende, tuttavia, sono del tutto fisiologiche nel sistema, posto che la stessa continuazione può essere riconosciuta in executivis tra reati oggetto di sentenze diverse. E’, dunque, la richiamata autonomia ad ogni effetto del capo, in uno con l’esplicita previsione normativa del riconoscimento della continuazione in fase esecutiva, a offrire il fondamento normativo dell'”interferenza” della pena complessiva – “aggiornata” in sede esecutiva attraverso il riconoscimento della continuazione con altro reato (per restare all’esempio proposto) – con gli istituti della fase esecutiva basati su un parametro applicativo legato all’entità della pena. Vicende del genere, dunque, non escludono la necessità, ai fini dell’idoneità a formare oggetto di un titolo esecutivo, dell’irrevocabilità di una pena “certa” e “completa” irrogata con autorità di giudicato in relazione a uno o più capi, laddove, al contrario, la pena “precariamente” individuata sulla base dell’impostazione accolta dal secondo orientamento, non potendo fondarsi sull’irrevocabilità di un capo (con i limiti di seguito indicati), darebbe adito alle incongruenze sistematiche segnalate.
9.4. Si rendono, però, necessarie, a questo punto, alcune ulteriori puntualizzazioni, soprattutto in relazione ai casi, assai frequenti nella prassi, di annullamenti afferenti ad alcuni dei capi per i quali sia stata ravvisata la continuazione con quello (o con quelli) ormai irrevocabili. Va ribadito, innanzitutto, che l’attributo dell’esecutività non può essere riconosciuto alla pena relativa a un capo, pur irrevocabile quanto all’affermazione di responsabilità, qualificato dalla sentenza come in continuazione con i reati di cui ad altri capi, qualora sia ancora sub iudice l’individuazione della violazione più grave, posto che la modificabilità della struttura del reato continuato priva la determinazione della pena dei connotati della “completezza” e della “certezza”. Né tale rilievo può essere superato facendo riferimento alla determinabilità della pena risultante da «un ragionamento in ipotesi», poiché il fatto che il risultato finale non potrà consistere in una pena inferiore a quella ora posta in esecuzione non significa che la pena sia stata già definita (Sez. 1, n. 30780 del 2018, Fiesoli, cit.). Come si è visto, invece, la pena acquista il crisma dell’esecutività quando il rinvio disposto dal giudice di legittimità su questioni attinenti ai reati collegati a quello più grave dal vincolo della continuazione (c.d. reati satelliti) e, segnatamente, alle addizioni di pena, non incide sulla immediata eseguibilità delle statuizioni già passate in cosa giudicata (Sez. 1, n. 2071 del 2000, Soldano, cit.; conf. Sez. 5, n. 2541 del 2004, dep. 2005, Pipitone, cit.). In altri termini, quando la decisione sia passata in giudicato in ordine alla pena stabilita per il reato qualificato – irrevocabilmente – come violazione più grave nell’ambito del reato continuato (ed eventualmente anche per alcuni dei reati-satellite), l’annullamento con rinvio disposto per i reati (eventualmente) posti in continuazione con esso non incide sull’immediata esecutività del giudicato parziale (Sez. 6, n. 3216 del 1997, Maddaluno, cit.). Va, inoltre, precisato che, anche in presenza di un giudicato parziale formatosi sulla pena relativa a un capo qualificato come violazione più grave del reato continuato e insuscettibile di perdere, nel giudizio di rinvio, tale qualificazione, condizione dell’esecutività della pena è che essa sia, come si è detto, “certa” e “completa” in relazione all’intero fatto-reato, comprensivo delle eventuali circostanze; tale connotato non è ravvisabile quando, pur essendo divenuta irrevocabile l’affermazione di responsabilità per il più grave delitto circostanziato, la sentenza del giudice della cognizione non abbia quantificato l’aumento per la circostanza aggravante. Come si è osservato, i connotati della “completezza” e della “certezza” necessari a rendere la pena passibile di esecuzione escludono l’eseguibilità della pena relativa a un capo pur in toto non annullato quando, a seguito dell’annullamento parziale, sia ancora sub iudice l’individuazione della violazione più grave del reato continuato. Vicende inerenti al capo rispetto al quale la determinazione della pena non sia stata attinta dall’annullamento parziale e, tuttavia, idonee ad escludere l’eseguibilità possono, però, ravvisarsi anche con riferimento ad ipotesi ulteriori rispetto a quelle fin qui considerate. E’ il caso della richiesta di applicazione della sospensione condizionale della pena la cui concedibilità, nel rispetto dei parametri normativi, presuppone, nel caso di reato continuato, il completamento dell’iter processuale relativo al capo oggetto di annullamento con rinvio, pur a fronte del mancato annullamento sugli altri capi, al fine di stabilire la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del beneficio rispetto all’intero trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 45340 del 10/09/2019, Vinciguerra, Rv. 277915). In tale prospettiva, rivestono particolare delicatezza e complessità le valutazioni riguardanti, da un lato, l’individuazione del legame di connessione essenziale tra parte annullata e parte non annullata e, dall’altro, l’eseguibilità della condanna per i capi non oggetto dell’annullamento parziale.
9.5. La condivisa impostazione di fondo del primo orientamento e delle indicazioni offerte dal diritto vivente in tema di giudicato progressivo richiede alcune puntualizzazioni, tese a valorizzare l’irrevocabilità della pena principale e, dunque, la riconoscibilità alla stessa dei connotati della “certezza” e della “completezza”, non necessariamente associata all’irrevocabilità di altri punti del relativo capo. In primo luogo, l’esecutività della pena in caso di giudicato progressivo non presuppone la definitività della decisione sui punti relativi alle misure di sicurezza ordinate con sentenza; come rilevato anche in dottrina, tali punti in nessun modo influiscono sui connotati che, come si è visto, devono caratterizzare la pena suscettibile di esecuzione ovvero sulla finalità rieducativa della stessa. Del resto, l'”autonomia” delle vicende processuali delle misure di sicurezza disposte con sentenza di condanna trova conferma nella disciplina ad hoc dettata dall’art. 579, comma 2, cod. proc. pen., in forza della quale l’impugnazione della sentenza limitatamente alle disposizioni riguardanti le misure di sicurezza è proposta a norma dell’art. 680, comma 2, cod. proc. pen. e, quindi, investe il giudice di sorveglianza (cfr. Sez. 1, n. 2260 del 26/03/2014, dep. 2015, Rv. 261891; Sez. 1, n. 6371 del 31/01/2006, Brusco, Rv. 233443). Dunque, alla irrevocabilità dell’accertamento del reato e della determinazione della relativa pena (cui consegue l’esecutività di quest’ultima) si accompagna l’avvio, per l’impugnazione del punto afferente alla misura di sicurezza, di un percorso del tutto autonomo, che fuoriesce dalla sfera delle attribuzioni del giudice di cognizione, per chiamare in causa il giudice di sorveglianza, protagonista anche dell’esecuzione delle misure di sicurezza ordinate con sentenza (cfr. artt. 658, 679 cod. proc. pen.). Alle stesse conclusioni deve giungersi con riferimento alle pene accessorie e alle confische non aventi natura di misura di sicurezza, qualora la loro definitiva statuizione intervenga successivamente all’irrevocabilità della pena principale; in tali casi, il fatto che la disposizione sulle pene accessorie o sulle confische indicate sia ancora sub iudice non determina le incongruenze sistematiche relative all’esecuzione della pena principale sopra richiamate, né incide sul discrimen tra cautela personale ed esecuzione della pena o sul completo e definitivo accertamento del fatto criminoso, anche nella sue componenti circostanziali, funzionale all’avvio del percorso di reinserimento sociale.Con particolare riferimento alle pene accessorie, deve poi osservarsi che esse indubbiamente chiamano in causa l’«individualizzazione del trattamento sanzionatorio» (Corte cost., sent. n. 222 del 2018), ma, in quanto conseguenti di diritto alla sentenza di condanna come effetti penali della stessa ai sensi dell’art.20 cod. pen., possono essere eseguite in qualsiasi momento dalla formazione del giudicato e, diversamente dalle pene principali, non sono soggette a prescrizione (Sez. 1, n. 33541 del 06/07/2016, Altamura, Rv. 267463, che ha escluso l’esistenza di un obbligo di immediata esecuzione delle pene accessorie dal cui inadempimento, mantenuto per un arco temporale pari alla durata delle stesse, discenda la loro estinzione). Il che conferma la loro ininfluenza sull’esecuzione della pena principale, tanto più che le stesse modalità esecutive delle pene accessorie delineate dall’art. 662 cod. proc. pen. (nonché, per le pene accessorie vincolate non disposte in sede di cognizione, dall’art. 183 disp. att. cod. proc. pen.) non rivelano profili di interferenza con l’esecuzione della pena principale. Quanto alle confische, l’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dal d. Igs. 1 marzo 2018, n. 21, pur attenendo a ipotesi di estinzione del reato, segnala l’autonomia” delle relative statuizioni rispetto a quelle attinenti all’esecutività della pena principale, analogamente a quanto si registra sul terreno delle statuizioni civili. Anche le questioni afferenti a queste ultime, infatti, restano estranee al tema dell’esecutività della pena principale: l’irrevocabilità alla quale si fa riferimento attiene alla responsabilità penale e alla relativa pena principale, mentre profilo distinto rispetto ad essa è «il capo della sentenza di condanna che riguarda l’azione civile e l’entità del danno risarcibile» (Sez. U, n. 10251 del 2006, dep. 2007, Michaeler, cit.). Le vicende relative a detto capo non condizionano, dunque, l’eseguibilità della pena, come confermato dalla regola che esclude la sospensione dell’esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato in caso di impugnazione per i soli interessi civili (art. 573, comma 2, cod. proc. pen.).
9.6. In conclusione ritengono le Sezioni unite che, in caso di annullamento parziale da parte della Corte di cassazione (art. 624 cod. proc. pen.), la pena principale – irrogata in relazione a un capo per il quale sia passata in giudicato l’affermazione di responsabilità, anche in relazione alle circostanze del reato – sia suscettibile di esecuzione, qualora abbia acquisito autorità di cosa giudicata, essendo stata determinata in termini di “completezza” e di “certezza”. La “completezza” della pena comporta la “insensibilità” rispetto alle statuizioni rimesse al giudice del rinvio, mentre il connotato delle “certezza” rinvia alla precisa definizione – senza necessità di ricorrere a computi ipotetici – del trattamento sanzionatorio, tenuto conto delle statuizioni del giudice della cognizione quali risultanti dalle sentenze emesse e dall’ambito del giudizio di rinvio perimetrato dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione. Deve, pertanto, qualificarsi esecutiva la pena principale irrogata in relazione a un capo (o a più capi) – non in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento parziale – per il quale siano passati in giudicato (oltre che, naturalmente, l’inapplicabilità di cause estintive del reato, quali la sospensione condizionale: cfr. Sez. 1, n. 45340 del 2019, Vinciguerra, cit.) tutti i punti, a eccezione di quelli attinenti alle pene accessorie, alle misure di sicurezza ordinate con sentenza e alle confische non aventi natura di misura di sicurezza; restano, inoltre, estranee al tema dell’esecutività della pena principale le questioni attinenti alle statuizioni civili, in quanto afferenti a un capo autonomo.
10. Si registrano pronunce difformi sull’ulteriore questione, pure prospettata dall’ordinanza di rimessione (e ridimensionata, nella sua concreta portata, dalle conclusioni raggiunte in ordine alla questione principale), ossia se la pena da eseguire in relazione ad un giudicato parziale debba essere stabilita dagli organi dell’esecuzione ovvero dalla Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio. 10.1. Secondo un primo orientamento, in merito alle statuizioni che devono caratterizzare il dispositivo della sentenza di annullamento parziale, vengono in rilievo i commi 2 e 3 dell’art. 624 cod. proc. pen.. L’espressa declaratoria, nel dispositivo della sentenza di cassazione parziale, delle parti della sentenza impugnata che diventano irrevocabili non è obbligatoria per la Corte di cassazione, ma è rimessa a una sua valutazione di opportunità. Infatti, l’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. prevede che la Corte di cassazione provveda a tale espressa declaratoria “quando occorra”, ossia solo quando, per esigenze di chiarezza, appare opportuno enunciare espressamente nel dispositivo il passaggio in giudicato dei capi della sentenza impugnata la cui acquisita irrevocabilità possa risultare poco chiara o poco evidente. D’altra parte, lo stesso art. 624, commi 2 e 3, cod. proc. pen. prevede che l’eventuale omissione della declaratoria è in ogni momento riparabile dalla Corte di cassazione, con un’ordinanza da adottarsi de plano in camera di consiglio, d’ufficio o su richiesta del pubblico ministero o della parte privata interessata. L’indirizzo in esame valorizza il tenore letterale della norma per affermare che alla declaratoria prevista dall’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. non può essere riconosciuta alcuna efficacia costitutiva dell’effetto della irrevocabilità dei capi della sentenza impugnata che non siano stati oggetto di annullamento e non siano in connessione essenziale con quelli annullati; al contrario, la declaratoria delle parti della sentenza impugnata divenute irrevocabili ha efficacia meramente dichiarativa. Ne consegue che, in occasione del successivo giudizio di legittimità introdotto mediante ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio, va riconosciuta alla Corte di cassazione, ai fini della decisione del ricorso, la possibilità di ricavare la irrevocabilità delle statuizioni della sentenza di appello non oggetto di annullamento parziale – e darne atto anche soltanto nella motivazione della sua nuova pronuncia – mediante la semplice lettura e interpretazione della propria precedente sentenza di annullamento parziale, in quanto tale potere corrisponde, nella sostanza, a quello di integrazione successiva disposta (d’ufficio o a richiesta di parte) con ordinanza ai sensi dell’art. 624, commi 2 e 3, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 46419 del 16/10/2014, Barchetta, Rv. 261050; conf. Sez. 4, n. 29186 del 29/05/2018, Marangio, Rv. 272966; Sez. 1, n. 10880 del 17/01/2020, Toscano; Sez. 5, n. 46431 del 13/09/2017, Licciardi). 10.2 Un secondo orientamento attribuisce, invece, valenza costitutiva alla declaratoria della Corte di cassazione ex art. 624 cod. proc. pen. e dalla sua omissione fa derivare l’impossibilità di dare esecuzione alla pena determinata per un capo non annullato (Sez. 1, n. 3273 del 19/12/2016, dep. 2017, Gallo). 10.3. Le Sezioni unite ritengono che l’accertamento circa l’eseguibilità della pena e la sua specifica individuazione competano agli organi dell’esecuzione, secondo i criteri di computo stabiliti in materia, potendo, quando occorre, la Corte di cassazione, anche eventualmente con l’ordinanza di cui all’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., dichiarare solo quali parti della sentenza sono diventate irrevocabili. Depongono in tal senso due ordini di considerazioni. In primo luogo, il chiaro tenore letterale dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. circoscrive all’indicazione delle parti divenute irrevocabili ad opera della sentenza che ha disposto l’annullamento parziale i compiti spettanti alla Corte di cassazione, anche nella sede ad hoc rappresentata dall’ordinanza successiva alla deliberazione della decisione di annullamento parziale. Per altro verso, nessun dato normativo consente l’esclusione degli organi dell’esecuzione penale dall’esercizio di una funzione tipicamente rientrante nel genus dell’esecuzione stessa e da affrontare anche sulla base dei criteri di computo stabiliti dal codice di rito in materia. Inoltre, l’esclusione indicata non si concilierebbe con la valorizzazione della fase esecutiva voluta dal legislatore codicistico, che ha visto in essa lo «strumento per l’attuazione del principio costituzionale dell’umanizzazione della pena da cui deriva poi quello dell’adeguatezza della medesima con riferimento al fine della possibile rieducazione del condannato» (Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, in Supp. Ord. n. 2 alla G.U. n. 250 del 1988 – Serie generale, p. 139). In questa prospettiva, il codice di rito assegna al pubblico ministero il ruolo di «promotore dell’esecuzione penale» e al giudice dell’esecuzione quello di organo «chiamato a risolvere tutti i multiformi problemi che il titolo esecutivo è destinato inevitabilmente a porre» (Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, cit., p. 140), organo al quale spetta il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti (Sez. 1, n. 14984 del 13/03/2019, Versaci, Rv. 275063; conf. Sez. 1, n. 16039 del 02/02/2016, Violino, Rv. 266624; Sez. 1, n. 36 del 09/01/1996, Morelli, Rv. 203816), attraverso l’adozione di provvedimenti suscettibili di essere portati al vaglio del giudice di legittimità. Al dato letterale, si aggiunge, dunque, il rilievo sistematico della necessità di non sottrarre l’accertamento circa l’eseguibilità della pena al procedimento esecutivo e alle garanzie che, attraverso la sua articolazione (anche con rimedi impugnatori), esso è in grado di apprestare.
11. Deve dunque essere enunciato il seguente principio di diritto: «In caso di annullamento parziale (art. 624 cod. proc. pen.), è eseguibile la pena principale irrogata in relazione a un capo (o a più capi) non in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento parziale per il quale abbiano acquisito autorità di cosa giudicata l’affermazione di responsabilità, anche in relazione alle circostanze del reato, e la determinazione della pena principale, essendo questa immodificabile nel giudizio di rinvio e individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione. La Corte di cassazione, con la sentenza rescindente o con l’ordinanza di cui all’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., può solo dichiarare, quando occorre, quali parti della sentenza parzialmente annullata sono diventate irrevocabili».
12. Alla luce del principio di diritto enunciato, il ricorso deve essere accolto. Per nessuno dei due capi ascritti al ricorrente la determinazione della pena ha acquisito autorità di cosa giudicata, posto che l’annullamento ha riguardato, con riferimento a un capo (il capo 13 riguardante il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), il punto relativo alla sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 cit. e, con riferimento all’altro (capo 8 relativo al delitto ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990), la qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 cit. Per entrambi i reati, l’annullamento interessa punti direttamente incidenti sul trattamento sanzionatorio in ordine al quale l’iter processuale non si è concluso e non é, quindi, intervenuta in maniera irrevocabile la determinazione di una pena certa, con conseguente ineseguibilità della stessa. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, dell’ordine di esecuzione emesso il 20 novembre 2019 dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Lecce in ottemperanza alle indicazioni impartite dalla Corte di appello con l’ordinanza impugnata