(Cass. Sezione I Penale, 13.3.2012-12.4.2012, n. 13611)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BARDOVAGNI Paolo – Presidente
Dott. ZAMPETTI Umberto – Consigliere
Dott. TARDIO Angela – Consigliere
Dott. BONITO Francesco – rel. Consigliere
Dott. LA POSTA Lucia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
V.S. N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 2788/2010 GIUD. SORVEGLIANZA di AGRIGENTO, del 13/05/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;
lette le conclusioni del PG Dott. MAZZOTTA Gabriele il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
La Corte:
1. OMISSIS, con l’assistenza del difensore di fiducia, ricorre a questa Corte di legittimità per l’annullamento dell’ordinanza con la quale il Magistrato di sorveglianza di Agrigento ha respinto la sua istanza volta alla remissione del debito, per le spese del processo e di mantenimento in carcere, poste a suo carico in seguito alla sentenza resa il 21.10.2005 dalla Corte di appello di Palermo, spese quantificate in cartella esattoriale nella somma di Euro 561.200,99. 2. Lamenta, in particolare, il ricorrente, con il primo dei due motivi di impugnazione, violazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 6 e difetto di motivazione sul punto, giacchè, a suo avviso, il giudice a quo ha dedotto, errando in diritto, l’insussistenza dei requisiti di legge per l’accoglimento della domanda, con riferimento al requisito della buona condotta, dalla frequentazione registrata dai CC, in cinque occasioni dal (OMISSIS) ad oggi, con persone ritenute pregiudicate.
Al riguardo osserva la difesa istante che detto requisito, ai sensi della norma di riferimento la cui violazione viene denunciata, deve fare riferimento al comportamento carcerario, giacchè rilevante il comportamento in libertà, secondo insegnamento di questa Corte di legittimità, soltanto se l’istante non è mai stato sottoposto a detenzione.
Nel caso in esame, annota pertanto il difensore, il OMISSIS è stato detenuto in carcere ed il suo comportamento in tale periodo risulta essere stato pienamente collaborativo nell’ambito del programma di rieducazione.
Difetto motivazionale va infine denunciato, ancora ad avviso della difesa istante, in relazione alla mancata valutazione, da parte del tribunale, del buon comportamento carcerario, soprattutto se rapportato alla sopravalutazione ed alla enfatizzazione della relazione dei CC. in ordine al comportamento del OMISSIS da quando ha riacquistato la libertà. 3. Col secondo motivo di ricorso denuncia altresì la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al D.P.R. n. 115 del 2001, art. 6 ed al requisito della condizione economica, la cui sussistenza è stato negato dal giudice territoriale.
Deduce sul punto l’impugnante che ha ritenuto il Tribunale l’insussistenza del richiamato requisito sul rilievo che il OMISSIS è titolare di reddito fisso pari a poco più di 1000,00 Euro mensili, quale bidello scolastico, che risulterebbe comproprietario con i fratelli di tre immobili, che risulterebbe altresì proprietario di due FIAT Punto ed una FIAT Stilo, e che sarebbe pertanto nelle condizioni di pagare il debito erariale, tenuto conto, anche, della natura non solidale del debito medesimo, da suddividere, pertanto, tra tutti gli imputati condannati con la medesima sentenza dalla quale ha avuto origine la pretesa della P.A..
Ciò premesso denuncia la difesa istante la contraddittorietà di ritenere: per un verso, a) adeguato il modesto reddito del OMISSIS a fronteggiare un debito erariale elevatissimo (561.200,99 Euro) che tale rimane anche se suddiviso tra i vari coimputati condannati contestualmente al OMISSIS e, per altro verso, b) inidonea, la erogazione di somme tanto rilevanti, a determinare difficoltà economiche esistenziali in capo al debitore e, con esse, la compromissione di possibili percorsi di reinserimento sociale.
4. Con motivata requisitoria scritta il P.G. in sede ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
5. Il ricorso è fondato in entrambe le prospettate censure.
5.1 Il ricorrente, come innanzi esposto, denuncia col gravame violazione di legge e difetto di motivazione, quanto alla corretta interpretazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 6 in relazione sia al requisito della buona condotta, sia al requisito dello stato di indigenza.
Quanto al primo dei requisiti detti rammenta il Collegio che, ai fini della remissione del debito in favore di condannato in disagiate condizioni economiche che abbia tenuto “regolare condotta”, detto ultimo requisito, nel caso di soggetto che sia stato ristretto in carcere, va verificato con esclusivo riguardo alla condotta tenuta in istituto, come già poteva desumersi dall’art. 56 dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui richiamava, per la nozione di “regolare condotta”, l’art. 30-ter, u.c. stesso ordinamento, e come appare oggi indubitabile, alla stregua del sopravvenuto art. 6 del cit. T.U. sulle spese di giustizia approvato con D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il quale, nel disciplinare il medesimo istituto (a seguito dell’abrogazione del citato art. 56 dell’ordinamento penitenziario), distingue tra l’ipotesi in cui il condannato non sia mai stato detenuto o internato e quella in cui sia stato, viceversa, detenuto o internato, stabilendo che, nel primo caso, si deve aver riguardo alla condotta tenuta “in libertà” e, nel secondo, a quella tenuta “in istituto”, sempre valutata secondo i parametri di cui all’art. 30-ter dell’ordinamento penitenziario (Cass., Sez. 1, 19/06/2003, n. 29193).
Ciò posto si appalesa in violazione di legge la motivazione impugnata, là dove, in contrasto con il principio detto, ha ritenuto insussistente il requisito della regolare condotta dell’istante non già in riferimento a quella tenuta nel corso della detenzione, ma evocando la condotta tenuta in libertà.
Ma anche sotto tale profilo non può non convenirsi con le censure difensive, dappoichè indiscutibilmente enfatizzate relazioni di polizia e circostanze in esse dedotte, che devono comunque essere considerate nel complessivo quadro comportamentale, lavorativo, familiare e sociale nel quale l’interessato ha vissuto, ed essere bilanciate con la regolarità comportamentale che ha caratterizzato il periodo carcerario.
5.2 Non solo; il provvedimento impugnato si appalesa sfornito di motivazione laddove si tiene presente l’evoluzione interpretativa operata nel tempo dal giudice di legittimità in relazione all’istituto della remissione del debito erariale derivante dalle spese del processo e da quelle per il mantenimento in carcere, evoluzione peraltro evocata ed invocata dalla difesa ricorrente.
Anche la disponibilità di risorse economiche in grado di soddisfare il debito erariale non esclude di per sè lo stato di disagio economico, hanno affermato i supremi giudici (Cass., Sez. 1, 3.06.1997 n. 2932; Cass., Sez. 1, 15 febbraio 2008, Scaturchio) allorchè l’adempimento del debito determinerebbe per il debitore gravi difficoltà nel far fronte ad elementari esigenze di vita. Di più; sempre secondo il superiore insegnamento (Cass. pen., sez. 2, 28.12.1984 n. 3926; Sez. 1, 2008, ric. Scaturchio cit.) ricorre il requisito di legge dello stato di indigenza nella ipotesi in cui l’adempimento del debito, comportando un notevole squilibrio del bilancio domestico, determinerebbe una seria compromissione delle possibilità di recupero e di reinserimento sociale dell’interessato.
Senza omettere la fondamentale considerazione, sempre affermata dal giudice di legittimità (Cass. pen. 8 marzo 1994, Spagnolo) che il requisito delle disagiate condizioni economiche non va inteso nel senso che sia necessario uno stato di assoluta indigenza, essendo sufficiente una situazione caratterizzata da difficoltà e ristrettezze economiche che, in riferimento a parametri di normalità, non consentono di far fronte alle fondamentali esigenze di vita.
E nel caso di specie il debito erariale supera la considerevole somma di Euro 560.000,00.
Dalle esposte considerazioni deve trarsi la lezione giurisprudenziale di questa Corte, intesa a porre la necessità, per il decidente investito della domanda di remissione del debito per spese processuali, di una valutazione complessiva circa le condizioni economiche del richiedente, da operare con criteri di ragionevolezza, valutazione non disgiunta da puntuali considerazioni in ordine agli effetti dell’adempimento della pretesa erariale sulle condizioni di vita dell’interessato e sulle conseguenze relative alle finalità costituzionali della detenzione.
Ciò posto si appalesa di evidente apoditticità ritenere che il reddito familiare mensile di poco più di 1000,00 Euro, unitamente alla comproprietà con fratelli e sorelle di tre immobili ed il possesso di tre modestissime autovetture possa ritenersi adeguato a fronte di un debito operosissimo per condizioni economiche anche di sicura agiatezza.
Nè può ritenersi risolutivo il richiamo alla novella che ha eliminato la natura solidale delle condanna alle spese processuali in materia penale, dappoichè l’evocata divisione del debito originario del quale il tribunale assicura la non eccessiva misura quantitativa, non viene neppure indicato nel suo risultato al fine di valutare la ragionevolezza motivazionale del giudizio così apoditticamente espresso dal decidente.
6. Alla stregua delle esposte considerazioni l’ordinanza impugnata va cassata con rinvio al Magistrato di sorveglianza di Agrigento perchè riesamini la domanda del ricorrente alla luce dei principi e dei rilievi argomentativi innanzi indicati.
la Corte, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Magistrato di sorveglianza di Agrigento.