(Cass. Sezione 2 Penale, 14 giugno – 1 settembre 2011, n. 32977)
Sezione Seconda Penale
Sentenza 14 giungo – 1 settembre 2011, n. 32977
sul ricorso proposto da:
OMISSIS nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 17/11/2010 del Tribunale di Milano;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione letta dal Consigliere Dott. Ceppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giovanni Galati che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
1. Con ordinanza del 17/11/2010, il Tribunale del riesame di Milano confermava il decreto con il quale, in data 28/10/2010, il g.i.p. del Tribunale della medesima citta’ aveva convalidato il sequestro preventivo – disposto in via d’urgenza dal P.m. – di una serie di beni (immobili e quote di partecipazioni a societa’) appartenenti a terzi, nonche’ due autovetture intestate a OMISSIS . Il sequestro era stato disposto sul presupposto della fittizia intestazione dei beni intestati ai terzi, ma in realta’, nella disponibilita’ del OMISSIS indagato per i reati di cui all’articolo 416 bis c.p., – Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies, aggravato dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7. Premetteva il Tribunale che, sempre nel contesto dell’attuale procedimento penale, “con ordinanza del 5 luglio 2010, il GIP presso il Tribunale di Milano aveva applicato nei confronti di OMISSIS la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p., per aver concorso esternamente nell’associazione mafiosa denominata ndrangheta, operante da anni sul territorio di (OMISSIS) e province limitrofe, con specifico riferimento al c.d. “locale” di (OMISSIS). Nel detto provvedimento si rilevava che OMISSIS , persona gia’ sottoposta a procedimento di prevenzione, e pur tuttavia ricoprente incarichi pubblici di rilievo nel pavese – in quanto direttore sanitario dell’A.S.L. di (OMISSIS), dopo aver, in precedenza, salito tutti i gradini di tale importante struttura, esercente gestione e controllo su vari notissimi centri medici di eccellenza nel settore sanitario – era risultato essere persona molto vicina a OMISSIS , due personaggi al vertice della â?~ndrangheta in (OMiSSIS) e di assoluto rilievo criminale anche a livello nazionale, nella piena consapevolezza del ruolo della Ndrangheta nel territorio lombardo, ed anzi nella fierezza della contiguita’ a tale struttura criminosa”.
Evidenziava il Tribunale che “gli episodi oggetto di analisi nella ordinanza cautelare personale riguardavano il ruolo di OMISSIS nell’inquinamento dei risultati delle recenti elezioni regionali a favore dell’indicata cosca, nonche’ quello in occasione delle elezioni amministrative a (OMISSIS) del giugno 2009, quando l’indagato si era posto come mediatore tra il mondo politico pavese e alti esponenti di ndrangheta, con vantaggi reciproci dopo il buon esito elettorale. Oltre ad ulteriori episodi di disponibilita’ di OMISSIS nei confronti della ndrangheta, venivano altresi’ in considerazione altri illeciti, come la corruzione elettorale Decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, ex articolo 86, Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, contestata al capo 95 delle imputazioni provvisorie in concorso con OMISSIS”.
Evidenziava, ancora, il Tribunale che “contestualmente all’emissione, da parte del GIP, della misura cautelare, il PM procedente ha emesso in via d’urgenza provvedimento di sequestro di una serie di beni, per lo piu’ quote societarie e beni immobili, intestati a diversi soggetti, per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p., e per quello di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies, nell’assunto che erano tutti riconducibili a OMISSIS e dallo stesso fittiziamente attribuiti o intestati a terzi. Con provvedimento del 23 luglio 2010 il Gip convalidava il sequestro emesso in via d’urgenza, e disponeva autonomo provvedimento di sequestro sui medesimi beni. Il Tribunale del riesame, con ordinanza 18.8.2010, confermava i provvedimenti di sequestro. OMISSIS veniva successivamente attinto da nuova misura cautelare, emessa il 18.10.2010, eseguita il 23.10.2010, per i delitti di cui agli articoli 110 e 81 c.p., Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies, Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, con riferimento agli episodi gia’ individuati nell’ambito del sequestro citato supra, e articolo 110 c.p., articolo 353 c.p., comma 2, Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7. Anche tale ordinanza custodiale veniva confermata dal Tribunale del riesame con ordinanza 12,11.2010”.
Specificava, infine, il Tribunale che era stato impugnato un ulteriore decreto di sequestro emesso, in via di urgenza, dal P.M. in data 21/10/200 e convalidato dal G.I.P. il 28/10/2010, sul presupposto della fittizia intestazione dei beni consistenti, anche in questo caso, in immobili e quote societarie (nonche’ in due autovetture intestate al OMISSIS ).
Tanto premesso, il Tribunale, nel rigettare la richiesta di riesame proposta dal OMISSIS, innanzitutto, rilevava che, quanto ai beni intestati ai terzi, l’istante doveva ritenersi carente di interesse ad impugnare. In ogni caso, “ad abundantiam” il Tribunale entrava nel merito delle questioni sollevate e riteneva sussistente sia il fumus delicti (cfr pagg. 5-8 ordinanza impugnata) sia la sussistenza del requisito della sproporzione patrimoniale tra i beni riconducibili al OMISSIS ed i suoi redditi come risultanti dalle dichiarazioni fiscali (pagg. 8 ss ordinanza impugnata). In particolare, quanto alle due auto sottoposte al sequestro, il Tribunale osservava che “consta solo che dal patrimonio di OMISSIS sono, ad un certo punto, uscite disponibilita’ economiche necessarie all’acquisto delle due autovetture; posto che il denaro e’ fungibile, e che, le sue disponibilita’ sono sproporzionate, si deve ritenere che anche le vetture sono state acquistate con fondi provenienti dal compendio suscettibile di confisca “.
2. Avverso la suddetta ordinanza, il OMISSIS , a mezzo dei propri difensori, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
1. violazione di legge con riferimento alla ritenuta declaratoria di inammissibilita’: osserva il ricorrente che, poiche’ presupposto del sequestro preventivo Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12 sexies, e’ il delitto di cui al contestato articolo 12 quinquies Decreto Legge cit., il suo concreto interesse sarebbe rappresentato “dall’esigenza difensiva di escludere la condotta incriminata, attestando l’effettiva proprieta’ dei beni in capo a terze persone e in tal modo smentendo la natura fittizia e fraudolenta delle intestazioni”;
2. violazione dell’articolo 12 quinquies Decreto Legge cit.: con il suddetto motivo, il ricorrente, entrando nel merito della vicenda, sostiene che:
1. mancherebbero gli estremi del fumus delicti in ordine al contestato reato. Infatti, il ricorrente censura la decisione del Tribunale, confutando, punto per punto, i singoli elementi indiziari ritenuti probanti dal Tribunale (cfr pag. 2-8 ricorso);
2. mancherebbe la prova della sproporzione patrimoniale, secondo il criterio indicato dalle SSUU 17/12/2003, Montella. Sul punto, il Tribunale non solo non vi si era adeguato ma le aveva volutamente disattese (cfr pag. 8-11 ricorso);
3. mancherebbe la prova della illecita provenienza dei beni sia con riferimento al reato presupposto contestato, ossia all’articolo 12 quinquies che non e’ per sua natura idoneo a produrre ricchezze, sia con riguardo ad altri eventuali reati. Il ricorrente sostiene che, dall’analisi della sua attivita’ professionale nonche’ dei proventi da essa derivanti, compresi quelli “in nero”, si poteva desumere che e’ “un professionista con un’elevata capacita’ di reddito, che ha effettuato gli acquisiti piu’ onerosi e importanti della sua vita, l’abitazione familiare e quella della figlia, facendo ricorso al credito bancario, e che ha investito i suoi cospicui risparmi in operazioni immobiliari, a loro volta finanziate, almeno in parte, da mutui fondiari” (cfr pag. 1115 ricorso).
Va, innanzitutto, esaminata la questione relativa all’interesse ad agire; come si e’ illustrato in narrativa, i beni sequestrati, (ad eccezione delle due autovetture), sono intestati a terzi e, per buona parte, alla figlia OMISSIS .
Sulla base di tale dato fattuale, il Tribunale, preliminarmente, ha ritenuto il ricorrente carente di interesse ad impugnare il suddetto sequestro relativamente ai beni intestati formalmente ai terzi (cfr pag. 5 ordinanza impugnata), ed ha richiamato, in proposito, Cass. 13037/2009, riv 243554.
Orbene, ritiene questo supremo Collegio che tale affermazione deve considerarsi infondata sia che si aderisca all’orientamento, piu’ volte affermato da questa Suprema Corte, secondo cui “in tema di sequestro preventivo, l’indagato e’ sempre legittimato a proporre richiesta di riesame avverso il provvedimento, indipentemente dal fatto che i beni sottoposti a vincolo siano sottratti alla sua disponibilita’ o a quella di terzi”, sia che si voglia seguire l’orientamento, alquanto diverso, recentemente affermato da questa Suprema Corte, secondo il quale, “l’imputato o l’indagato – che non sia titolare del bene sottoposto a sequestro – intanto puo’ impugnare, in quanto vanti un interesse concreto e attuale alla proposizione del gravame”. Quanto al primo orientamento, va precisato che, come si desume dalla chiara lettera dell’articolo 322 c.p.p., rafforzata dal principio generale espresso dall’articolo 568 c.p.p., comma 3, la persona sottoposta alle indagini nei cui confronti sia stato adottato un decreto di sequestro preventivo, e’ legittimata a richiedere il riesame di detto provvedimento anche se la cosa sequestrata sia di proprieta’ di terzi. In sostanza, l’espresso richiamo, tra i soggetti legittimati a proporre l’appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo, dell’imputato (rectius: indagato), ha, infatti, l’effetto di legittimare la persona sottoposta a indagini a proporre l’impugnazione (Cass. sez. 6, 29 ottobre 1992 n 3366; sez. 3, 6/3/1996 n 1052, RIV. 204990; id. 1/2/2005 n 10049, RIV. 230853; sez. 4, 20 aprile 2005 n 21724), non senza considerare che il presupposto del sequestro preventivo, nella ipotesi di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articoli 12 quinquies e sexies, e’ da ravvisarsi nella circostanza che la persona sottoposta a indagini, secondo l’impostazione accusatoria, e’ quella che ha, pur sempre, il potere di disposizione sul bene, e, nel caso di specie, tale disponibilita’ e’ dato certo e incontestabile. Invero, il Tribunale – dopo aver premesso che OMISSIS, figlia dell’indagato, intestatario, sulla base di atti compiuti nel corso degli anni ed in particolare nell’ultimo periodo, di numerosi beni immobili, risultava essere sprovvista di redditi diversi da quelli catastali, e della societa’ PF. srl non si era mai occupata, risultando essere di fatto lo schermo del padre” – ha messo in evidenza, nell’elencare i beni sequestrati, come l’indagato avesse la disponibilita’ degli immobili (“cosa propria”) e detenesse, di fatto, le “quote” di numerose societa’, tant’e’ che “la contabilita’ delle spese sociali era materia di suo interesse e pertinenza ” e che i fittizi intestatari “si impegnavano con scrittura privata a restituire, in qualsiasi momento e a titolo gratuito, le dette quote a OMISSIS; “che dagli appunti sequestrati emergeva che il 25% delle quote della OMISSIS era in realta’ di OMISSIS e che “analoga conclusione si imponeva per il 50% delle quote di OMISSIS, pervenendo alla conclusione che “tutte le attivita’ riportate nella provvisoria imputazione erano oggetto di cointeressenza e gestione da parte di OMISSIS senza che lo stesso, formalmente, apparisse”.
Quanto al secondo orientamento, va rilevato che – a parte la circostanza che quasi tutte le decisioni sul punto riguardano ipotesi di sequestro del tutto diverse da quella in esame (concernente, per lo piu’, il sequestro di costruzione abusiva: cosi’ Cass. Sez. 3, 27 gennaio 2010 n 10977 o il sequestro di automezzo utilizzato per l’immigrazione clandestina: Cass. sez. 1 n 36038/2005, ovvero, ancora, il sequestro di veicolo intestato a persona diversa dall’indagato di cui quest’ultimo assume indimostratamente, la disponibilita’: Cass. Sez. 6, n 41682/’O8, RIV. 241921) – l’interesse necessario per proporre impugnazione e’ riscontrabile non con riferimento ad uno specifico risultato, bensi’ nella misura in cui l’impugnazione o la richiesta di riesame siano idonee a provocare un risultato piu’ favorevole al proponente; con specifico riferimento al riesame di un provvedimento di sequestro preventivo, l’interesse va individuato non nella restituzione della cosa, bensi’ con riferimento alla possibilita’ che dal riesame sortisca il dissequestro ed inerisce, quindi, allo stesso mezzo considerato, a prescindere dal soggetto che rientrera’ in possesso della cosa sottoposta a sequestro;
Ed, invero, i soggetti legittimati a ottenere la restituzione delle cose sequestrate non devono essere individuati, in ogni caso, negli stessi che hanno proposto la richiesta di riesame, perche’ chi e’ legittimato ad esperire tale rimedio processuale, non e’ necessariamente la persona che ha diritto a rientrare in possesso delle cose sequestrate (Cass., sez. 2, 28 maggio 2008 – CED 240631).
E, del resto, l’interesse della persona sottoposta alle indagini ad impugnare i provvedimenti in tema di sequestro preventivo non puo’ certamente escludersi in tutti i casi nei quali venga in discussione la natura del reato, o la qualificazione giuridica del fatto addebitato o, comunque, sia configurabile un’influenza sul procedimento principale, (Cass. Sez. 4 21724 del 20 aprile 2005); ed, e’, appunto, questo, il caso di specie, cosi’ come puntualmente dedotto dalla difesa nei motivi di ricorso: “Presupposto del sequestro preventivo, ex articolo 12 sexies, e’ infatti il delitto di trasferimento fraudolento di valori, previsto del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies. Il sequestro riguarda pertanto beni che si assumono solo formalmente di terzi, ma che nell’ipotesi accusatoria sarebbero riconducigli alla signoria dell’indagato. Il ricorrente ha quindi un preciso e concreto interesse all’impugnazione, ancorche’ con la stessa venga affermata l’altruità dei beni, interesse rappresentato dall’esigenza difensiva di escludere la condotta incriminata, attestando l’effettiva proprieta’ dei beni in capo a terze persone e in tal modo smentendo la natura fittizia e fraudolenta delle intestazioni. Nel caso specifico, ben diverso da quello di un semplice sequestro preventivo “ordinario”, il risultalo favorevole e’ rappresentato dall’esclusione della responsabilita’ per il reato presupposto di trasferimento fraudolento di valori e dalla possibilita’ di ricondurre il patrimonio alle sue effettive dimensioni, presupposto indispensabile per poter dimostrare la proporzione dei beni realmente posseduti rispetto alle attivita’ economiche svolte e quindi scongiurare un sequestro e una confisca estesi all’intero patrimonio illegittimamente “allargato”.
E’ facile constatare come, nel caso di specie, si verta nella ipotesi in cui e’, appunto, l’indagato ad acquisire immobili e quote societarie e, poi, a trasferirli fittiziamente ad altri e, segnatamente, alla figlia mediante atti di donazione o di anticipazione dell’eredita’, mantenendo egli la disponibilita’ e la gestione del patrimonio. E’ evidente, quindi, che l’accusa secondo la quale i beni sono stati acquistati con i proventi dell’associazione criminale (di cui si ritiene feccia parte il ricorrente), e che vi e’ sproporzione tra il valore degli stessi ed il reddito, come emergente dalle dichiarazioni fiscali, e’ direttamente riferibile all’indagato (e non certamente alla figlia che ha ricevuto i beni dal padre con atti di trasferimento fittizi). Peraltro, questa stessa Corte, con sentenza del 14 gennaio 2010, ha rigettato i ricorsi sia del OMISSIS che della OMISSIS , in ordine ad altri beni, sempre sottoposti a sequestro Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articoli 12 quinquies e sexies, senza che sorgesse alcuna questione in ordine alla legittimazione del OMISSIS, e si e’ evidenziato che la necessita’ del sequestro preventivo era stata legata correttamente anche al successivo, possibile provvedimento di confisca, una volta ritenuta la sussistenza della volonta’ da parte del OMISSIS di voler eludere le misure di prevenzione patrimoniale a seguito dell’avvenuta conoscenza dell’indagine a suo carico. Del resto, anche nel caso di specie, il Tribunale, pur avendo (erroneamente) ritenuto la non legittimazione dell’indagato all’impugnazione, e’ scesa, comunque, nel merito ed ha rilevato, da un lato, che l’intestazione dei beni alla figlia era uno dei mezzi escogitati dal OMISSIS per conseguire il fine di occultamento – (soprattutto a partire dall’autunno 2009, quando era consapevole di essere indagato per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p., sicche’ aveva provveduto, sistematicamente, a trasferire alla figlia immobili e quote societarie) – e, dall’altro lato, ha ritenuto non sussistente il requisito della proporzione del reddito del OMISSIS rispetto, in particolare, al patrimonio immobiliare, disvelato dalle indagini, davvero consistente. Non vi e’, quindi, alcun dubbio in ordine alla legittimazione, sotto qualsiasi profilo, del OMISSIS indagato per i delitti di cui all’articolo 416 bis c.p., e Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies, – a presentare istanza di riesame avverso il decreto di sequestro e a proporre, successivamente, ricorso per Cassazione. Il ricorso, sia pure per motivi diversi, e’, comunque, inammissibile, poiche’ le questioni sollevate sono o manifestamente infondate o si risolvono in censure di puro merito inammissibili in questa sede di legittimita’ ove, come e’ noto, il ricorso ex articolo 325 c.p.p., e’ ammesso solo per violazione di legge. Cio’ vale, innanzitutto, per la questione relativa al fumus delicti in quanto la doglianza e’ manifestamente infondata.
In punto di diritto, e’ sufficiente rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte “ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, convertito con modificazioni nella Legge n. 356 del 1992, e’ necessario accertare, quanto al “fumus commissi delicti”, l’astratta configurabilita’, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati indicati dalla norma citata, e quanto al “periculum in mora”, attesa la coincidenza di quest’ultimo requisito con la confiscabilita’ de bene, la presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni che legittimano la confisca, e cioe’ da un lato la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attivita’ economiche del soggetto, e dall’altro la mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi”. (Sul punto: ex plurimis Cass. 16207/2010 Rv. 247237; SS UU. 7/2000 Rv. 215840 ove si e’ precisato che “in tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimita’ della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o della corte di cassazione non puo’ tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilita’ della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilita’ tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravita’ degli stessi”).
Orbene, e’ sufficiente leggere l’ampia motivazione addotta dal Tribunale in ordine al fumus delicti (cfr pagg. 5 ss ordinanza impugnata) per avvedersi che le censure dedotte in questa sede devono ritenersi inammissibili perche’ si risolvono in argomenti di merito – gia’ trattati nel giudizio avanti il tribunale – con i quali si tenta, in modo surrettizio, di dimostrare vizi motivazionali in cui sarebbe incorso il Tribunale al fine di ottenere una rivalutazione degli elementi esaminati e valutati dal Tribunale. Al che deve replicarsi che. in sede di legittimita’, sono ammesse deduzioni solo di violazioni di legge, ex articolo 325 c.p.p., comma 1, sicche’ la censura non puo’ essere scrutinata atteso che, il Tribunale ha ampiamente motivato in ordine alla sussistenza del fumus delicti dando adeguata risposta a tutte le doglianze del ricorrente.
Analoghe considerazioni vanno svolte in ordine alla questione della sproporzione patrimoniale precisandosi che la questione e’ stata correttamente trattata dal Tribunale alle pagg. 8 ss dell’impugnata ordinanza.
In particolare, il Tribunale, nel ritenere la sussistenza del requisito della sproporzione, ha richiamato la propria ordinanza del 18/08/2010 con la quale era stato confermato il sequestro preventivo di altri beni appartenenti sempre allo stesso ricorrente.
Tale ordinanza, venne impugnata innanzi a questa Corte la quale, come si e’ gia’ accennato, con sentenza n. 12774/2011 ha rigettato il ricorso (proposto dal OMISSIS e dalla figlia) rilevando che il Tribunale aveva “ricostruito con adeguata coerenza” la sproporzione tra il valore dei beni acquisiti ed il reddito (cfr pag. 5 sentenza cit.). In questa sede, quindi, poiche’ e’ stata riproposta la medesima questione gia’ oggetto di un giudizio definitivo di questa Corte, non puo’ che dichiararsi la censura manifestamente infondata e improponibile. In ogni caso, il Tribunale ha correttamente applicato, nella fattispecie, i principi enunciati dalle SS.UU. “Montella”. Le medesime considerazioni vanno svolte in ordine alla questione della illecita provenienza dei beni, precisandosi anche qui che la questione e’ stata correttamente trattata dal Tribunale a pag. 13 dell’impugnata ordinanza.
L’indagato, al fine di giustificare la legittima provenienza dei beni, aveva sostenuto che egli era “un colossale evasore fiscale”. Il Tribunale, presa in debita considerazione la tesi, l’ha respinta in punto di diritto, richiamando quella giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “al fine di valutare la legittima provenienza dei beni di cui il Decreto Legge 22 aprile 1994, n. 246, articolo 12 sexies, consente il sequestro preventivo e la confisca, i parametri legislativi sono alternativamente indicati nella sproporzione esistente tra il loro valore e il reddito dichiarato dall’interessato ai fini delle imposte sul reddito ovvero nella sproporzione esistente tra detto valore e l’attivita’ economica svolta dal medesimo. Ne consegue che per valutare tale sproporzione il giudice, data l’alternativita’ e non la concorrenza dei due indicati parametri, puo’ limitarsi a prendere in considerazione uno soltanto degli stessi, non essendo necessario che constatata la sproporzione tra il valore dei beni e uno dei citati parametri, passi ad ulteriore valutazione con l’altro parametro. Inoltre, una volta prescelto il criterio derivante dal reddito dichiarato a lini fiscali, il valore del bene di non giustificata provenienza va parametrato alle dichiarazioni coeve o successive alla data di acquisizione del medesimo, in quanto, una volta entrato nell’ambito patrimoniale dell’interessato, il bene viene a produrre reddito che deve risultare dalle coeve ovvero successive denunzie dei redditi, sicche’ e’ del tutto inlnfluente a quale dichiarazione si faccia riferimento per accertare la sproporzione purche’ la medesima non sia precedente all’acquisizione del bene” (cosi’: Cass. 2860/1994 Rv. 198941; nonche’ Cass. 5202/1996 Rv. 205738 che, nel ribadire il suddetto principio, ha ulteriormente precisato che “non e’ sufficiente alfine di giustificare la provenienza dei beni la mera esibizione degli atti negoziali di acquisto regolarmente stipulati e trascritti, dovendosi invece fornire da parte dell’interessato un’esauriente spiegazione che dimostri la derivazione dei mezzi impiegati per l’acquisto da legittime disponibilita’ finanziarie”, cfr. Sez. 1, 29.9.1995. F., m. 202615; 2.6.1994, M,, in Cass. pen., 1995. 907). In questa sede, il ricorrente (pag. 11 del ricorso), torna a ribadire la sua tesi difensiva, stigmatizzando la motivazione addotta dal Tribunale di “vuoto formalismo”. Senonche’ si deve replicare che: il principio di diritto richiamato dal Tribunale, non e’ “vuoto formalismo”, perche’ trova un puntuale e letterale riscontro nel Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, che, adoperando la disgiuntiva “o”, non lascia adito a dubbi interpretativi di sorta alcuna; – correttamente, quindi, alla stregua del suddetto principio, il Tribunale ha fatto riferimento ai redditi dichiarati e non anche ai complessivi proventi, (rectius: gli asseriti introiti in nero non dichiarati al fisco), derivanti dall’attivita’ professionale svolta, ed ha coerentemente concluso che l’onere di allegazione che l’indagato aveva, in ordine alla positiva liceita’ della provenienza dei beni sottoposti a sequestro, non poteva dirsi in alcun modo assolto; non vi e’ dubbio, quindi, che sotto questo profilo, che il Tribunale abbia, comunque, adottato una motivazione, sicche’ la medesima non e’ censurabile neppure sotto gli invocati profili di carenza, contraddittorieta’ e/o illogicita’, atteso che i suddetti vizi non rientrano nelle violazioni di legge ex articolo 325 c.p.p..
Alla stregua delle considerazioni svolte, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile; alla declaratoria di inammissibilita’ consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al versamento in favore della cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, su determina equitativamente in euro 1.000,00.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1 000.00 in favore della cassa delle ammende.