Il segreto professionale è tutelato dall’art. 622 c.p. che punisce chiunque, avendo notizia per ragione della propria professione di un segreto lo rivela senza giusta causa ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, sedal fatto può derivare un nocumento.
L’art. 209 c.p.p. afferma sostanzialmente lo stesso principio, stabilendo che gli avvocati e altri professionisti “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione” e l’art. 200 c.p.p. è poi richiamato dall’art. 249 c.p.c. per l’astenzione dal rendere testimonianza in materia civile.
Oltre che previsione di una specifica norma penale, il segreto professionale è un  diritto e una difesa per la parte assistita; è un dovere di prestazione per l’avvocato che fonda su di esso la ragione stessa del proprio ministero.

Tale dovere è espressamente recepito dall’art. 9 del Codice Deontologico Forense che stabilisce: “E’ dovere, oltrechè diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto sull’attività prestata e su tutte le informazioni che siano a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato…”. La tutela del segreto non conosce limiti, né soggettivi, né oggettivi, né temporali. Infatti l’avvocato è tenuto al dovere di segretezza e riservatezza anche nei confronti degli ex clienti e non soltanto per l’attività giudiziale, ma anche per quella stragiudiziale.
Tale ultimo principio oltre ad essere stato più volte affermato dalla giurisprudenza, è stato altresì recepito dall’art. 7 L. 9 febbraio 1982 n. 31 sulla libera prestazione dei servizi da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri della Comunità Europea.
Anche l’art. 58 del Codice Deontologico Forense ha come oggetto il segreto professionale, stabilendo che “Per quanto possibile, l’avvocato deve astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attivitàprofessionale e inerenti al mandato difensivo …”. D’altra parte il segreto professionale è il cardine dell’intero sistema difensivo che vede nella fiducia tra parte assistita e patrono e nella custodia del segreto che l’accompagna un valore essenziale per la stessa realizzazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito.
Di fatto, quindi, la facoltà di astensione dal rendere testimonianza non costituisce una eccezione alla regola generale dell’obbligo di rendere testimonianze, ma è espressione del diverso principio di tutela del segreto professionale. “Il legislatore, disciplinando la facoltà di astensione, ha operato, nel processo, un bilanciamento tra il dovere di mantere il segreto su quanto appreso in ragione del compimento di attività proprie della professione, e l’ampiezza della facoltà di astensione dei testimoni deve essere interpretata nell’ambito delle finalità proprie di tale bilanciamento” (Corte Cost., 8 aprile 1997, n. 87).
Alla luce di quanto sopra, l’Avv. [OMISSIS], sotto il profilo deontologico, ha senz’altro l’obbligo di esercitare la facoltà di astensione circa le notizie da lui apprese nell’ambito del proprio mandato professionale con il cliente oggi indagato.
(Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Adunanza 5 marzo 2009)
 
 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.