E’ valida la querela proposta dal socio rappresentante ed amministratore di uno studio legale in ordine al reato di diffamazione, qualora le espressioni offensive, pur indirizzate a singoli soci e collaboratori del predetto studio legale, si traducano in offesa alla reputazione di questi ultimi in qualità di componenti un organismo professionale, coeso pervia dell’associazione e, qundi, nella lesione della reputazione dell’associazione professionale per la quale sia proposta querela.
(Cass. penale Sez. V, sentenza 16 marzo – 26 aprile 2010, n. 16281)
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Quinta Penale
Sentenza 16 marzo – 26 aprile 2010, n. 16281
In fatto.
In data 13.2.2009, il Tribunale di Salerno, quale giudice d’appello, investito del gravame dell’imputata avverso la sentenza del Giudice di Pace di Vibo Valentia del 21.12.2007, confermava la prima decisione di condanna del magistrato [OMISSIS], quale colpevole di diffamazione verso i membri dell’associazione professionale rappresentata dallo studio dell’avv. [OMISSIS], professionista che si costituiva parte civile. Costei, infatti, nel corso dell’udienza del 10.12.2003, ebbe a definire i legali di quello studio come ridicoli, incompetenti, maleducati. Episodio che si inserisce in un duraturo contrasto tra l’imputata e gli altri professionisti (cfr. sent., pag. 6).
Avverso la sentenza d’appello la difesa della [OMISSIS] eccepisce:
– l’inosservanza della legge processuale in relazione al mancato accoglimento della istanza di rinvio dell’udienza 7.4.2006, avanzata dalla difesa, per legittimo impedimento del difensore, impegnato presso altro procedimento penale.
– l’inosservanza della legge processuale in relazione alle condizioni di procedibilità per difetto di valida querela, essendo la stessa avanzata dall’avv. [OMISSIS], pur essendo state le frasi diffamatorie rivolte ai collaboratori di questi, presenti in aula, e non disponendo lo stesso di rappresentanza ai fini della proposizione della denuncia privata ed essendo gli epiteti rivolti non già allo studio professionale ma alle persone presenti in aula;
– carenza di motivazione sulla delegata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai fini della corretta ricostruzione della vicenda tesa all’acquisizione delle richieste di astensione proposte dall’avv. [OMISSIS] e le deposizioni del cancelliere di altri avvocati presenti;
– carenza di motivazione sulla ricorrenza della fattispecie criminosa ed erronea applicazione della legge penale, con travisamento anche del fatto: non sono state tenute in conto le contraddizioni testimoniali pur eccepite in sede di gravame, ovvero le dichiarazioni di quanto escludono di avere inteso frasi offensive coinvolgenti l’avv. [OMISSIS], al più ingiuriando persone presenti che, tuttavia, non sporsero querela;
– carenza di motivazione sulla ricorrenza relativamente alla negazione della provocazione essendo ingiusta ed irragionevole la richiesta di astensione avanzata nei confronti della D.ssa [OMISSIS].
Per l’odierna udienza la difesa della ricorrente faceva pervenire motivi aggiunti che eccepivano:
– l’omessa motivazione sugli argomenti contenuti in memoria difensiva depositata dalla [OMISSIS] il 13.2.2009 avanti al Tribunale;
– l’omessa e contraddittoria motivazione circa il significato dell’epiteto “ridicoli” che non era rivolto ai membri dello studio [OMISSIS], bensì alle due procuratrici presenti quel giorno, ma che non presentarono querela;
– l’erronea applicazione della legge penale, poiché non era consentito ravvisare ipotesi di diffamazione verso l’avv. [OMISSIS], ma soltanto di ingiurie verso le persone che erano impiegate presso quello studio professionale.
In diritto.
I motivi in gran parte ripercorrono doglianze avanzate già con il gravame di appello. I motivi aggiunti altro non sono che la reiterazione di quelli principali (salvo l’omissione di quello afferente al rigetto dell’istanza di rinvio dell’udienza).
In via preliminare deve esaminarsi la censura rivolta al rigetto della domanda di differimento dell’udienza del 7.4.2006 da parte del Giudice di Pace. In data 31.3.2006 la difesa depositava in Cancelleria richiesta di rinvio dell’udienza fissata per il 7.4.2006 portante certificazione di diverso impegno giudiziale dell’unico difensore di [OMISSIS].
Il Giudice di Pace respinse l’istanza sulla base dei rinvii già concessi all’attuale processo (ben tre differimenti) per concomitante impegno del difensore e rilevando la delicatezza della presente vicenda, non soltanto perché relativa ad un magistrato, ma in quanto, foriera di probabili conseguenze disciplinari, incideva sul funzionamento dell’ufficio del Tribunale di [OMISSIS]. Inoltre, il provvedimento segnalava la distanza nel tempo del fatto. Infine, rilevava che mancava la compiuta dimostrazione di non avere potuto affidare la difesa a sostituto processuale.
Tutte queste argomentazioni sono ragionevoli, soprattutto, con riferimento alla mancanza di una valida dimostrazione di non avere potuto valersi della designazione di un sostituto processuale. La decisione non merita censura alcuna.
L’eccezione, quindi, si palesa infondata.
Nel merito, il primo e principale motivo dubita della regolarità della querela sporta dal rappresentante dell’associazione professionale, Infatti, la condotta esaminata risulta piuttosto costituita da una seria di ingiurie rivolte agli astanti, persone che non avanzarono querela. Si trattava dell’avv. [OMISSIS] e della praticante di studio [OMISSIS], entrambe operative presso lo studio dell’avv. [OMISSIS]ed, a quella udienza, incaricate di sostituire il legale (sent. pag. 6).
La denuncia privata provenne dall’avv. [OMISSIS] che non era presente e che non venne espressamente fatto oggetto di contumelia, sicché il comportamento fu iscritto nell’alveo dell’art. 595 c.p. Secondo il Procuratore Generale che, all’odierna udienza ha instato per l’annullamento con rinvio, la motivazione della pronuncia non spiega la ragione per cui il [OMISSIS] dovesse ritenersi offeso dagli epiteti rivolti dalla [OMISSIS] alle persone che furono presenti all’udienza.
Sulla premessa che le fattispecie di ingiurie e di diffamazione non si pongono tra loro in posizione di reciproca esclusione, bensì – realizzandosi gli elementi costitutivi di ciascuna delle due – di possibile concorso materiale, l’osservazione non considera l’argomentazione giudiziale che, invece, ripercorrendo i pregressi attriti tra le parti, individua (anche) nel preposto all’associazione professionale il reale bersaglio dei giudizi offensivi.
Basti considerare che le immediate destinatarie degli insulti erano di sesso femminile, mentre le ingiurie furono espresse con un generico maschile, circostanza che già indica come il bersaglio delle contumelie non erano (soltanto) le dirette destinatarie delle stesse, bensì tutti i membri dell’organismo di cui facevano parte. Ancora, come si apprende dalle decisioni di merito, le due persone non agivano per un personale e diretto mandato, bensì nell’interesse del [OMISSIS] o, comunque, per posizioni affidate dall’associazione professionale dal predetto presieduta.
Infine, non è indifferente (come, invece, ritenuto dal P.G. in udienza), per individuare l’esatta intenzione della ricorrente, la vicenda che aveva preceduto l’episodio incriminato: le scansioni di quella relazione evidenziano come protagonisti, da un lato, il giudice [OMISSIS] e dall’altro l’avv. [OMISSIS] (come si riscontra dalle memorie della stessa ricorrente).
L’ira manifestata dall’irruente magistrato assume una logica e plausibile spiegazione, come ritenuto nelle decisioni di merito, soltanto alla luce della tensione creatasi con lo studio del [OMISSIS], sicuramente non nei rapporti con la procuratrice legale e la praticante, verso cui la [OMISSIS], soltanto apparentemente, risultò adirata. Manca, invero, ogni traccia dimostrativa da parte della [OMISSIS] delle possibili ragioni di un risentimento verso queste ultime.
Al contempo la censura difensiva non coglie nel segno.
Non vi è dubbio che l’offesa alla reputazione dei componenti di un organismo professionale, coeso per via di associazione, ridondi anche a danno dell’ente medesimo, per il quale è stata proposta querela (cioè le persone a cui si attagliano gli epiteti profferiti dalla [OMISSIS], ove si intendessero costoro negli appartenenti allo studio che aveva promosso l’istanza sgradita al magistrato): riesce quindi evidente che l’offesa diretta ai membri di un’associazione, fondata sostanzialmente sulla ragione della loro appartenenza alla stessa (la [OMISSIS] era associata, sent. pag. 6) si traduce nella lesione della reputazione all’organismo collettivo.
L’art. 337 c.p.p. prevede che la querela possa anche essere proposta nell’interesse di un’associazione, purché manifesti l’indicazione specifica della fonte dei poteri di rappresentanza (per sopperire all’istanza sottesa all’art. 122 c.p.p.). Il giudice di pace, come si legge nella sentenza impugnata, ha acquisito l’atto costitutivo portante il potere rappresentativo del [OMISSIS] quale socio rappresentante ed amministratore. Al riguardo non possono esservi dubbi sulla legittimità dell’atto introduttivo del processo penale.
Manifestamente infondata è la critica di insufficiente motivazione circa il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale: la decisione è assai attenta ad esaminare le (identiche) istanze oggi riproposte e per le stesse dedica attenzione e ragionevole giustificazione. La pronuncia dedica cospicua parte a ripercorrere gli antefatti dell’episodio e l’argomento, considerata anche la sentenza di primo grado, è attentamente vagliato anche ai fini dell’adeguato supporto probatorio ai fini del decidere. L’istituto della riapertura del dibattimento, d’altronde, assume notoriamente carattere eccezionale, e la motivazione sulla sufficienza del corredo acquisito esclude interesse per la doglianza dedotta. Al contempo, alla luce dell’attività istruttoria svolta, l’integrazione è stata ragionevolmente considerata assai poco decisiva per sostenere il convincimento giudiziale.
Inammissibile è il terzo motivo: oltre a quanto dianzi osservato, meditata è la valutazione degli approdi istruttori (che fa seguito a quella assai attenta del primo giudice) di fronte delle perplessità già avanzate in sede di appello. La giustificazione si articola con ragionevolezza ed anche con il sostegno di ulteriori fonti autonome rispetto agli interessati (sent. pag. 8). Basti osservare, a conferma dell’inutilità di un nuovo esame del testimone [OMISSIS], che la stessa ricorrente non esclude l’alterco, mentre la dichiarazione della testimone [OMISSIS] non è contraddetta dalla ricostruzione effettuata dai giudici di merito, i quali hanno polarizzato la propria attenzione sulle frasi espresse verso soggetti non esplicitamente identificati e senza richiamo alla persona dell’avv. [OMISSIS]. Che, infine, le espressioni fossero rivolte alle persone che stavano di fronte al magistrato, è circostanza indiscussa (e tanto assevera la deposizione [OMISSIS]). Ulteriore vaglio al riguardo non è ammissibile nel giudizio di legittimità, incidendo sul fatto e sulla ricostruzione delle vicende che lo hanno scandito.
Anche il disconoscimento dell’invocata esimente della provocazione rinviene puntuale motivazione (sent. pag. 8), poiché manca alla condotta dello studio avv. [OMISSIS] connotazione “ingiusta”, essendo espressione, ancorché fastidiosa (e fors’anco infondata e mirata a scopi dilatori), delle facoltà difensive. La decisione richiama anche la già avvenuta annotazione dell’istanza della parte e, quindi, domanda di astensione cristallizzata in seno al verbale di udienza.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese di Parte Civile, che liquida in euro 1.500, oltre accessori come per legge.
Depositata in Cancelleria il 26.04.2010