Ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309/1990, non possono di regola definirsi “ingenti” i quantitativi di droghe “pesanti” (ad es., eroina e cocaina) o “leggere” (ad es., hashish e marijuana) che, sulla base di una percentuale media di principio attivo per il tipo di sostanza, siano rispettivamente al di sotto dei limiti di due chilogrammi e cinquanta chilogrammi.
(Cass. Penale Sez. VI, Sentenza 2 marzo – 26 maggio 2010, n. 20119)
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Sesta Penale
Sentenza 2 marzo – 26 maggio 2010, n. 20119
Sezione Sesta Penale
Sentenza 2 marzo – 26 maggio 2010, n. 20119
[OMISSIS]
1. Con sentenza in data 3 marzo 2008, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Catania, all’esito di giudizio abbreviato, condannava [OMISSIS] alla pena di anni sei di reclusione ed euro 26.000 di multa in quanto responsabile del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato a norma dell’art. 80 comma 2 del medesimo decreto, per avere detenuto a fini di cessione a terzi l’ingente quantità di gr. 948,11 di cocaina, con principio attivo del 62 per cento, pari a circa 4.000 dosi singole droganti (in Catania, il 17 maggio 2007).
2. A seguito di impugnazione dell’imputato, la Corte di appello di Catania, con la sentenza in epigrafe, riduceva la pena ad anni cinque di reclusione ed euro 18.000 di multa, confermando nel resto la decisione impugnata.
Rilevava tra l’altro la Corte distrettuale che la quantità di cocaina detenuta, pari a poco meno di un chilogrammo, da cui potevano ricavarsi circa quattromila dosi, era idonea a soddisfare in modo consistente il consumo di droga nel territorio, essendo così configurabile l’aggravante contestata.
Non potevano poi essere riconosciute le attenuanti generiche, in considerazione dell’elevato grado di capacità a delinquere, desumibile dal fatto che l’imputato si era procurato la droga recandosi presso pericolosi trafficanti di sostanze stupefacenti in Venezuela.
3. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo dell’avv. Salvatore Pappalardo, il quale denuncia:
3.1. Erronea applicazione dell’art. 80 comma 2 d.P.R. n. 309 del 1990, dato che la Corte di appello ha valutato “ingente” il quantitativo di cocaina senza alcuna considerazione concreta della situazione di mercato nell’area interessata, tale da far ritenere che il quantitativo fosse idoneo a soddisfare un notevole numero di tossicodipendenti per un lungo periodo, secondo i parametri, improntati a un criterio storico-relativo, indicati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità; tanto più che nel caso in esame l’area territoriale di riferimento era quella della provincia di Catania, notoriamente di vasta entità.
3.2. Erronea applicazione della legge processuale in relazione all’art. 62-bis c.p., considerato che la Corte catanese ha negato le attenuanti generiche con riferimento esclusivo al parametro della gravità del fatto, già considerato ai sensi dell’art. 133 c.p. relativamente al diverso giudizio di quantificazione della pena; in particolare non essendosi valorizzato il dato dell’assenza di precedenti penali e della condotta di vita anteatta.
1. Il primo motivo di ricorso appare fondato.
2. La nozione di “ingente quantità”, evocata dalla severa disposizione aggravatrice contenuta nell’art. 80 comma 2 d.P.R. n. 309 del 1990 (con implicazioni anche di trattamento penitenziario: v. art. 4 bis ord. pen.), richiede un’applicazione giudiziale che si muova quanto più possibile su parametri improntati a criteri oggettivi, e, quindi, verificabili; essendo diversamente da dubitare fortemente del contrasto tra detta norma e il principio di determinatezza, aspetto del più generale principio di legalità presidiato dall’art. 25 comma secondo Cost.
3. Nel variegato panorama della giurisprudenza che ne ha trattato (a partire quanto meno dalla introduzione dell’analoga disposizione contenuta nell’art. 74 comma secondo della legge n. 685 del 1975) rappresenta un passaggio significativo la sentenza delle Sezioni unite n. 17 del 21 giugno 2000, ric. Primavera, con la quale, ripudiatosi il criterio fino ad allora utilizzato della “saturazione del mercato”, in quanto costituente dato estraneo alla indicazione normativa e comunque oggettivamente impalpabile, si è posto il principio di diritto per cui, tenuto conto del pericolo per la salute pubblica che informa le disposizioni incriminatrici in materia di sostanze stupefacenti, può definirsi “ingente” la “quantità di sostanza tossica [che] superi notevolmente, con accento di eccezionalità, la quantità usualmente trattata in transazioni del genere nell’ambito territoriale nel quale il giudice del fatto opera”, così da ncreare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili” e conseguentemente “un incremento del pericolo per la salute pubblica”, dovendo la relativa valutazione, costituente un apprezzamento di fatto, essere necessariamente rimessa al giudice del merito, il quale “è in grado di formarsi una esperienza fondata sul dato reale presente nella comunità nella quale vive”.
4. Il Collegio, pur condividendo in linea di massima questa impostazione, ritiene che ai fini di un’applicazione giurisprudenziale che non presti il fianco a critiche di opinabilità di valutazioni, se non di casuale arbitrarietà, occorra meglio definire l’ambito di apprezzamento rimesso al giudice del merito e, di riflesso, quello proprio del sindacato di legittimità; il tutto considerando che la giurisprudenza prodottasi successivamente all’accennata sentenza delle Sezioni unite, pur prestandovi formalmente adesione, presenta talvolta risultati di evidente disarmonia a fronte di dati quali-quantitativi e di realtà territoriali in tutto assimilabili.
5. A tal fine, occorre considerare che il riferimento all’ “ambito territoriale”, come metro di valutazione della eventuale esuberanza del dato ponderale rispetto alle “usuali transazioni”, ha un senso molto limitato: il mercato della droga ha caratteri globali e normalmente non riceve significativi connotati da una determinata area territoriale.
E, se l’aggravante in questione esprime l’esigenza di reprimere più severamente fatti di accresciuto pericolo per la salute pubblica in relazione al “rilevante numero di tossicofili” cui un determinato quantitativo di droga è potenzialmente destinato, ciò che conta è, appunto, il numero di fruitori finali e non l’area dove essi insistono.
6. D’altro canto, la nozione di “quantità ingente” esprime semanticamente un significato oggettivo: è il valore ponderale, considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in ragione del grado di purezza, e, quindi, delle dosi singole aventi effetti stupefacenti che, in assoluto, può dirsi tale, nel senso di una sua “eccezionale” dimensione rispetto alle usuali transazioni del mercato clandestino (per usare le parole delle Sezioni unite).
Occorre peraltro chiarire di quale tipo di transazioni si debba parlare: se si vuole dare un senso al carattere extra ordinem del dato in esame non si tratta certamente di quelle relative alla vendita al dettaglio, ma neppure di quelle che si verificano al livello intermedio tra il “pusher” e il suo fornitore. E’ invece sui quantitativi importati (non essendovi nel nostro Paese una significativa produzione di sostanze stupefacenti) o su quelli che dalla importazione confluiscono alla rete di smercio territoriale che occorre fare riferimento per saggiarne il carattere “ingente”.
7. Tale carattere è certamente suscettibile di essere di volta in volta confrontato dal giudice di merito con la corrente realtà del mercato, ma, stando a dati di comune esperienza, apprezzabili a maggior ragione dalla Corte di cassazione, sede privilegiata in quanto terminale di confluenza di una rappresentazione casistica generale, non possono di regola definirsi “ingenti” quantitativi di droghe “pesanti” (in particolare, tra le più diffuse, eroina e cocaina) che, presentando un valore medio di purezza per il tipo di sostanza, siano al di sotto dei due chilogrammi; e quantitativi di droghe “leggere” (in particolare, hashish e marijuana) che, sempre in considerazione di una percentuale media di principio attivo, non superino i cinquanta chilogrammi.
8. Ne deriva nel caso di specie che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto l’aggravante della ingente quantità in relazione al quantitativo di cocaina di cui alla imputazione (gr. 948,11 di cocaina, con principio attivo del 62 per cento, pari a circa 4.000 dosi singole droganti).
La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio sul punto, con rimessione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Catania per la rideterminazione della pena a seguito della eliminazione dell’aggravante in questione.
9. Il secondo motivo è manifestamente infondato, posto che avverso il diniego delle attenuanti generiche, abbondantemente motivato dal Tribunale sulla base delle caratteristiche del fatto, l’imputato ha espresso generiche censure con l’atto di appello, poi reiterate senza ulteriori specificazioni con il presente ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante della ingente quantità, che esclude, e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per la rideterminazione della pena.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso addì 2 marzo 2010.
Depositatp in Cancelleria il 26 maggio 2010.