Uso della violenza nel reato di oltraggio, limiti
(Cass. Sezione VI Penale, 15 maggio – 21 giugno 2012, n. 24630)
Suprema Corte di Cassazione
Sezione Sesta Penale
Sentenza 15 maggio – 21 giugno 2012, n. 24630
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SERPICO Francesco – Presidente –
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere –
Dott. PAOLONI Giacomo – Consigliere –
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere –
Dott. DI SALVO Emanuele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS);
2) (OMISSIS);
3) (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 11171/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 06/11/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMANUELE DI SALVO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Montagna Alfredo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
1. Con sentenza emessa il 12-3-2007 dal Tribunale di Nola, F. A., B.I. e F.R. vennero dichiarati colpevoli, unitamente ad altre due persone, dei reati di cui all’art. 588 c.p. (esclusa l’aggravante di cui al comma 2), art. 582 c.p.; artt. 110 e 337 c.p.; artt. 582 e 585 c.p., art. 576 c.p., n. 1 – art. 61 c.p., n. 2, per aver partecipato ad una rissa e per aver usato violenza nei confronti dei Carabinieri intervenuti, procurando loro lesioni personali giudicate guaribili in giorni 5.
Reati commessi in OMISSIS. Gli imputati vennero condannati, con concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti, per OMISSIS e MOISSIS, alla recidiva specifica ed infraquinquennale, riuniti i reati sotto il vincolo della continuazione ed applicata la diminuente del rito, alla pena di mesi sei di reclusione OMISSIS e OMISSIS e di mesi 4 e giorni 20 OMISSIS.
La pronuncia venne confermata dalla Corte d’appello di Napoli, con sentenza in data 6-11-2009.
2. Ricorre per cassazione il difensore degli imputati, deducendo, con unico articolato motivo e con tre ricorsi di identico contenuto sì da poter essere trattati congiuntamente, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) sotto i seguenti profili:
1) inconfigurabilità del delitto di rissa, che richiede una condotta e una volontà volte alla reciproca aggressione mentre gli imputati si sono solo difesi dall’aggressione posta in essere ai loro danni dagli originali coimputati OMISSIS e OMISSIS;
2) insussistenza del reato di resistenza poichè gli imputati si sono limitati, al più, a divincolarsi, astenendosi da qualunque atto positivo di aggressione nei confronti dei pubblici ufficiali intervenuti;
3) ravvisabilità della scriminante dell’atto arbitrario del pubblico ufficiale poichè il comportamento degli operanti era stato arrogante e i loro modi rudi, duri e bruschi, non avendo essi neanche consentito ai privati di fornire le proprie spiegazioni in merito all’accaduto.
4) ravvisabilità, a tutto voler concedere, non del reato di resistenza ma di quello di oltraggio, essendo stata ispirata la condotta esclusivamente dall’intento di ledere l’onore e il prestigio dei pubblici ufficiali;
5) concedibilità delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione e, per quanto attiene ai OMISSIS, in via prevalente sulla contestata recidiva specifica e infraquinquennale.
Si chiede quindi l’annullamento della sentenza impugnata.
3. I ricorsi sono basati su motivi non consentiti in sede di giudizio di legittimità. Le censure dei ricorrenti attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nelle prerogative esclusive del giudice di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità allorchè sia fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Il giudice d’appello ha evidenziato come dalla precise dichiarazioni dell’Appuntato OMISSIS emerga che, appena i due OMISSIS giunsero sul luogo in cui era già in corso un violento alterco tra i OMISSIS e la OMISSIS, da una parte, e tale OMISSIS, dall’altra, scoppiò una rissa, poichè i cinque partecipanti iniziarono a colpirsi con violenza, non risparmiando neanche i pubblici ufficiali intervenuti per dividerli. E, al riguardo, deve senz’alto condividersi l’asserto formulato dal giudice di secondo grado, secondo cui, una volta accertata la condotta e l’intenzione offensiva di tutti i contendenti, non ha rilievo alcuno stabilire chi per primo sia passato a vie di fatto ( Cass. 28-5-84 n. 4878). Per la configurazione del reato di rissa, è infatti necessario e sufficiente che, nella violenta contesa, vi siano gruppi contrapposti, con volontà vicendevole di attentare all’altrui incolumità personale (Cass. 24-4-90 n 5920): ciò che, per l’appunto, risulta essersi verificato, nel caso di specie, secondo il quadro fattuale enucleabile dalla sentenza di seconde cure.
4. Il giudice d’appello correttamente puntualizza come da questa ricostruzione derivi altresì l’impossibilità giuridica di attribuire agli accadimenti in disamina il nomen iuris ex art. 341 bis c.p.. Al riguardo, occorre sottolineare come già sotto la vigenza dell’abrogato art. 341 c.p. si fosse ritenuto, in giurisprudenza, che la distinzione tra il reato di cui all’art. 336 c.p. e quello di oltraggio aggravato dalla violenza risiedesse nel fatto che, nel primo caso, la condotta è specificamente diretta a costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio; nel secondo, invece, la condotta è espressione di semplice malanimo o disprezzo (Cass., Sez 6, 8-5-98, Arcerito, Guida al dir. 1998, 34, 80). E il principio vale anche per il reato di cui all’art. 337, risiedendo il discrimine nella circostanza che, in quest’ultimo reato, la violenza o minaccia è volta ad opporsi al compimento dell’atto di ufficio da parte del pubblico ufficiale e non costituisce soltanto estrinsecazione dell’intento di offenderlo. E’ quanto è dato riscontrare nel caso in disamina, in cui la violenza, secondo quanto emerge dal quadro fattuale enucleabile dalla sentenza d’appello, è stata esercitata non allo scopo di offendere ma al precipuo fine di opporsi al compimento dell’atto d’ufficio da parte dei pubblici ufficiali, e cioè all’intervento volto a sedare la rissa. A ciò può aggiungersi, in linea di diritto, che l’art. 341 bis c.p. non contempla alcun riferimento alla violenza, non essendo stato riprodotto dalla disposizione incriminatrice introdotta dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 8, il disposto dell’art. 341 c.p., u.c. – abrogato dalla L. 25 giugno 1999, n. 205, art. 18, che prevedeva, per l’appunto, un’aggravante laddove il reato di oltraggio fosse stato commesso con violenza e minaccia. Il legislatore del 2009 ha quindi espunto dal tessuto normativo la figura dell’oltraggio con violenza. Onde l’uso di quest’ultima può ritenersi compatibile con la fattispecie di oltraggio soltanto nei ristrettissimi limiti in cui è possibile configurare la c.d. “ingiuria reale”, laddove cioè le percosse costituiscano estrinsecazione di una violenza di inavvertibile entità, che testimoni l’intento di evitare qualsiasi, pur minima, sofferenza alla parte offesa, evidenziando invece l’esclusivo proposito di arrecare offesa morale, avvilendo la vittima con un gesto di disprezzo (Cass. 24-11-83, C.E.D. Cass. n 162427;
Cass. 3-12-85, C.E.D. Cass. n. 172019). In ogni altro caso l’uso della violenza colloca la fattispecie concreta al di fuori dell’ambito di applicabilità dell’art. 341 bis c.p. 5. Ancor meno, sulla base di tale quadro fattuale, può ravvisarsi la scriminante dell’atto arbitrano del pubblico ufficiale – attualmente prevista dall’art. 393 bis cd inserito dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 9, il cui testo è rimasto però immutato rispetto all’abrogato D.Lgs. n. 14 settembre 1944, n. 288, art. 4, non emergendo alcun comportamento da parte degli operanti improntato a vessazione, prepotenza, prevaricazione o sopruso e quindi tale da potersi qualificare come arbitrario (Cass, Sez. 6, 23-11-2002 n. 39685; Cass. Sez. 6, 27-10-2006 n. 36009).
6. Come si vede, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica, formulando degli apprezzamenti di fatto, non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Ciò che d’altronde i ricorrenti sollecitano è una diversa lettura delle risultanze processuali e una diversa ricostruzione dei fatti oggetto della regiudicanda, precluse al giudice di legittimità.
7. Sul piano delle valutazioni di merito, estranee al giudizio di legittimità si colloca anche la doglianza relativa alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione e, per quanto attiene ai F., in via prevalente sulla contestata recidiva specifica e infraquinquennale, avendo la Corte d’appello motivato in modo del tutto adeguato, in riferimento alla gravità dei fatti, che avevano cagionato lesioni a ben 4 militari, e alla negativa valutazione della personalità degli imputati 1 ricorsi vanno dunque dichiarati inammissibili, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3. Consegue alla dichiarazione di inammissibilità la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.