Se il legislatore ha ritenuto che l’inviolabilità della segretezza e della libertà delle comunicazioni debba incontrare un limite nella esigenza di reprimere la commissione di reati di particolare gravità, quali quelli individuati nell’art. 266 c.p.p., è evidente che tale limite non può essere modificato mediante la utilizzazione in sede processuale delle risultanze di intercettazioni, al fine di accertare reati per i quali tale mezzo di indagine, invasivo della libertà e della segretezza delle comunicazioni private, non è consentito, anche se originariamente disposto per l’accertamento di una diversa fattispecie criminosa, rivelatasi inesistente.

Diverso ovviamente è il caso in cui nell’ambito dello stesso procedimento vengano giudicati reati diversi, connessi tra loro, per alcuni dei quali le intercettazioni telefoniche o ambientali erano consentite, sicché ne risulti legittima l’utilizzazione.
Si palesa opportuno osservare sul punto che i concetti di utilizzazione in altri procedimenti, contenuto nell’art. 270 c.p.p. e di inutilizzabilità di cui all’art. 271 c.p.p. appaiono identificativi dell’uso processuale del mezzo di prova (cfr. sent. Corte Cost. n. 366 del 1991), sicché una volta che le intercettazioni telefoniche o ambientali sono legittimamente entrate a far parte del processo, sia nell’ipotesi in cui vengano utilizzate per l’accertamento di un reato connesso, indipendentemente dall’esito del relativo giudizio, sia nell’ipotesi in cui il reato per il quale erano state disposte successivamente venga diversamente qualificato, non possono essere dichiarate inutilizzabili con riferimento alla fattispecie per la quale non sarebbero state consentite.
(Cass. Penale Sez. III, sentenza 25 febbraio – 31 marzo 2010, n. 12562)
 

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