La morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente, sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) nonché la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale.

(Cassazione Penale, Sez. IV, sentenza 6 febbraio – 13 dicembre 2013, n. 50557)

Nota a sentenza del Dott. Filippo Lombardi:

Versari in re illicita e rispetto della regola precauzionale

Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione ribadisce il proprio orientamento in tema di morte o lesioni conseguenti ad altro delitto (art. 586 c.p.), sottolineando che l’elemento soggettivo, da valutare in concreto e che deve reggere il secondo esito infausto (nel nostro caso, art. 589 c.p.), è quello della colpa nella sua accezione tradizionale: evento non voluto ma quantomeno prevedibile per un agente modello, collegato eziologicamente ad una condotta violativa di una norma precauzionale diversa da quella che sanziona il reato base (nel nostro caso, l’art. 73 T.U. Stupefacenti).
Il principio di diritto è mantenuto dunque costante dalla Giurisprudenza di Legittimità ma consente all’operatore giuridico di effettuare alcune osservazioni.
In primo luogo, la pronunzia risponde positivamente ad una delle annose questioni teoriche, quella della compatibilità tra il versari in re illicita e il doveroso rispetto della cifra cautelare.
Tale problematica è stata risolta in dottrina in maniera divergente rispetto agli approdi della Cassazione. Si è infatti detto che chi già si trova coinvolto in un fenomeno criminoso diretto verso uno scopo preciso non sia tenuto né al rispetto della regola precauzionale penale consistente nella norma che vieta il fatto base, onde evitare di incappare in una responsabilità per colpa presunta; né tantomeno a conformarsi a norme cautelari di derivazione sociale (diligenza, prudenza, perizia), pena la creazione di un ordinamento giuridico il quale al contempo vieti un fatto e consigli di svolgerlo “a regola d’arte”.
La dottrina, dunque, seppur non unanime, ritiene che l’evento non preventivato debba essere imputato sulla base di un solo elemento strutturale della colpa, vale a dire la prevedibilità, valutata – secondo concezioni più moderne e garantiste – in concreto e non sulla base della “vicinitas empirica” rispetto al reato base.
Ciò premesso, si nota come i Giudici di Piazza Cavour si allineino nuovamente con l’orientamento ora maggioritario in giurisprudenza, e operativo anche in tema di reato aberrante, consistente nel richiedere al soggetto qui versatur in re illicita il rispetto di una regola cautelare di derivazione sociale: l’agente, pur coinvolto in un’attività già in partenza illecita, dovrà mantenere quel senso di responsabilità tipico della persona razionale ed avveduta (homo eiusdem condicionis et professionis), che gli permetta di contenere l’azione entro i confini di quanto progettato, evitando di ledere beni giuridici ulteriori.
La Giurisprudenza di Legittimità prende quindi implicitamente le distanze dalla critica dottrinaria rivolta verso il concetto ambiguo di “delinquente modello”, ritenendo che l’ordinamento giuridico, imponendo al singolo un costante controllo sulle proprie azioni (sia al fine di evitare l’illecito, sia al fine di evitarne la propagazione) non finisca per assumere le fattezze del connivente, bensì si atteggi come ordinamento previdente, consapevole che ciascun individuo può contravvenire alle regole giuridiche destando la necessità che si “sposti in avanti” il rimprovero del Legislatore per i danni causati ad interessi giuridici tutelati.
La seconda osservazione è relativa alla “disparità di trattamento” in punto di disciplina dell’elemento soggettivo, per quanto concerne il delitto preterintenzionale.
E’ noto infatti che, secondo i più recenti approdi ermeneutici, il delitto preterintenzionale si fonda sull’unico elemento soggettivo di stampo doloso, che si innesta sugli atti diretti a ledere o percuotere, essendo esso in grado di assorbire la prevedibilità dell’evento non voluto (morte).
Ciò in quanto:
1) l’evento morte appartiene allo stesso genus degli eventi di lesioni e percosse, e dunque ogni agente può prevedere che la propria azione diretta a ledere l’integrità fisica possa avere conseguenze pregiudizievoli per il bene vita;
2) vi è necessità di considerare in maniera unitaria il delitto preterintenzionale, laddove il riscontro di due elementi soggettivi lascerebbe intendere tal tipo di delitto come frazionato in più condotte;
3) la previsione/prevedibilità rileva per la colpa, e la preterintenzione non coincide con essa.
Una prospettiva di coerenza sistemica dovrebbe quindi passare per due fasi: la prima volta a richiedere il controllo in concreto della prevedibilità piuttosto che la sua presunzione (conseguenza dell’assorbimento nel dolo); l’altra volta a far sì che, ulteriormente, vi sia l’accertamento sul secondo elemento strutturale della colpa, vale a dire la violazione della regola precauzionale (esclusivamente) di derivazione sociale.
Posto che il primo step è il più difficoltoso allo stato dell’arte, le seguenti argomentazioni possono in qualche modo sottolineare le criticità della tesi attuale prescelta dalla giurisprudenza in punto di elemento soggettivo nel delitto preterintenzionale:
1) Rispetto all’assunto n. 1, si può obiettare che eventi diversi per volontà legislativa devono essere trattati come slegati l’uno dall’altro, e ciò non consente di creare un bene giuridico più ampio che li contempli sovrapponendoli o considerandoli l’uno alla stregua dell’altro.
2) Rispetto all’assunto n. 2, si può evidenziare il fraintendimento relativo al dover rintracciare un solo elemento soggettivo per evitare di dover rilevare più frazioni di condotta. Nulla vieta, infatti, che una sola condotta sia assistita contemporaneamente da due elementi soggettivi (dolo e colpa) nei casi di difformità tra voluto e realizzato, in quanto molteplici sono gli eventi che rilevano nella fattispecie “complessiva”.
3) Rispetto all’assunto n. 3, si deve obiettare che l’affermazione per cui la prevedibilità/previsione rilevi per la colpa, elemento soggettivo diverso dalla preterintenzione, porterebbe ad abbracciare l’impostazione superata della preterintenzione come elemento soggettivo dotato di autonomia dogmatica. 
4) Rispetto al concetto generale di assorbimento di un elemento soggettivo (pur pseudo-)colposo nell’altro doloso, non può non rinvenirsi il pericolo di configurazione della colpa presunta, figura sintomatica della responsabilità oggettiva.
In conclusione, il principio per cui vi è compatibilità tra versari in re illicita e rispetto della regola cautelare di derivazione sociale si atteggia non come affermazione deleteria per la tenuta dell’ordinamento giuridico, anzi come segno della coscienziosità dell’ordinamento stesso e come necessità che il consociato mantenga alto il proprio senso di responsabilità, prima, durante e dopo l’illecito: preferibilmente, evitandolo; potenzialmente, contenendolo.
Tale principio dovrebbe – a parer di chi scrive – essere utilizzato come costante nel diritto penale, in tutti i casi in cui il soggetto che già proviene da un fenomeno criminoso finisca per generare un evento non voluto, diverso e/o ulteriore (delitto preterintenzionale; morte/lesioni come conseguenza di altro delitto; reato aberrante; reato aggravato dall’evento non voluto, qualora si consideri quest’ultima tipologia in veste autonoma e non come reato circostanziato).

Testo integrale sentenza

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